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Renzi in Iran, i dossier sul tavolo e gli ostacoli

Matteo Renzi è il primo leader occidentale a recarsi in visita di stato in Iran dopo l’abolizione delle sanzioni conseguente al Nuclear Deal, l’accordo sul congelamento del programma nucleare militare chiuso l’estate del 2015. Ricambierà dopo solo settantacinque giorni la visita di stato iraniana a Roma, e incontrerà il presidente Hassan Rouhani.

I DOSSIER SUL TAVOLO

Renzi con la visita iniziata oggi ha battuto sul tempo gli altri alleati europei, che dallo sblocco delle sanzioni (seguito dai risultati delle elezioni un po’ confortanti per i moderati rappresentanti la leadership politica) hanno ritrovato sponda in una delle più grandi economie del mondo islamico, fatta da 80 milioni di consumatori in crescita prevista a 100 entro il 2050, e una popolazione composta in maggioranza da under 30: la previsione del Fondo monetario internazionale stima una crescita del Pil tra il 4,5 e il 5 per cento. Il centro studi di Sace, la società statale che cura i servizi assicurativi per il commercio estero guidata dall’ex ambasciatore negli Stati Uniti Giovanni Castellaneta, crede che l’interscambio tra Italia e Iran possa più o meno triplicare nel settore dell’export nei prossimi quattro anni: attualmente il valore è fermo a 1,2 miliardi di euro, dato 2014, sceso rispetto ai 2,3 del 2005, previsto intorno a 3 miliardi per il 2018. L’Italia, giocando in anticipo, forse potrebbe sorpassare la Germania, che attualmente occupa il 4,9 per cento del mercato estero (dati UnComTrade), oltre il doppio del valore italiano.

SAIPEM E GLI ALTRI

Renzi è stato accompagnato da una folta delegazione di funzionari e businessman, tra cui i rappresentati delle 55 aziende italiane che hanno già stretto accordi con le controparti iraniane. Il settore di primo sviluppo sarà quello collegato alle infrastrutture energetiche: l’Iran è il quarto più grande produttore di petrolio e il secondo di gas naturale, ma le infrastrutture sono vecchie e usurate, per questo, forti anche di rapporti storici che hanno portato l’Eni nella Repubblica islamica fin dai tempi di Enrico Mattei, Saipem (sussidiaria di Eni nel settore infrastrutturale) ha già chiuso accordi da 4 miliardi per un gasdotto di 1800 chilometri. Stesso valore per i contratti del Gruppo Gavio, uno dei più grandi gruppi industriali italiani, che si occuperà di infrastrutture stradali e portuali, nonché dell’ammodernamento di alcuni edifici ospedalieri; sempre sui trasporti, anche le Ferrovie hanno chiuso un contratto da 2 miliardi per l’ammodernamento della rete. Si stima che in Iran triplicherà nei prossimi anni anche il settore dell’automotive, con due milioni di immatricolazioni annue attese nel post-sanzioni: un altro spazio dove l’Italia giocherà un ruolo non solo dal punto di vista delle vendite, ma soprattutto in quello della componentistica da fornire.

GLI OSTACOLI

“Non bisogna sottovalutare i rischi che il Paese ancora presenta e che possono determinare problemi di natura diversa (legale, documentale, operativa) per le aziende interessate a costruire o ripristinare rapporti commerciali o finanziari con controparti locali” scrive Sace in un suo vademecum in cui spiega agli italiani le regole base per esportare e investire in Iran, paese che nonostante tutto vive ancora grosse contraddizioni. “Per questo motivo, all’indomani dell’accordo di Vienna, il ministero dello Sviluppo economico, Sace e Mediobanca hanno firmato un accordo apripista con il ministero dell’Economia e delle finanze e la Banca centrale dell’Iran – ha spiegato in un articolo pubblicato su Formiche Castellaneta – per avviare una collaborazione, compatibilmente con il quadro normativo nazionale e internazionale vigente e con il ripristino del sistema dei pagamenti”. Inoltre, spiega sempre l’agenzia diretta da Castellaneta che “l’attività delle aziende che si stabiliscono in Iran può essere ostacolate dalla diffusa corruzione e dal peso che lo Stato riveste nei diversi comparti produttivi. Le principali banche e le grandi imprese pubbliche e semi-pubbliche dominano interi comparti produttivi e commerciali del Paese, lasciando poco spazio ai nuovi player che si affacciano sul mercato”.

LE AMBIGUITA’

Il viaggio che porta Renzi a muoversi verso l’Iran, è spinto dal business tanto quanto dal realismo politico. Teheran rappresenta una realtà enorme e potente, destinata ad un forte sviluppo economico, ma ancora non troppo affidabile. È forte ancora sul piano retorico la dialettica anti-occidentale, come è forte la volontà ideologica e geopolitica di egemonizzare il Medio Oriente; sullo sfondo una lotta esistenziale con Arabia Saudita, simbolo della divisione confessionale sunniti/sciiti, e Israele, nemico esistenziale. Per questo, per esempio, nonostante gli iraniani siano un potenziale, teorico alleato nella battaglia contro lo Stato islamico, l’Occidente e l’Italia tendono ancora a non fidarsi troppo, evitando di stringere partnership operative. L’Iran sta continuando ad inviare soldati qualificati al fianco del regime siriano di Bashar el Assad, uomini che alla stregua dei bombardamenti russi, colpiscono con maggiore tenacia e continuità i ribelli moderati sunniti (in alcuni casi alleati occidentali) piuttosto che l’Isis; inoltre Teheran comanda dal punto di vista militare ed ideologico le milizie sciite irachene, siriane, afghane, libanesi, che odiano l’Occidente e che si muovono ambiguamente all’interno del conflitto siro-iracheno. Questa ambiguità con cui la Repubblica islamica si approccia ai rapporti con l’Italia e con l’Europa ha anche un’altra faccia: le organizzazioni per i diritti umani chiedono con insistenza a Teheran di bloccare il ritmo delle esecuzioni e i processi farsa contro coloro che si oppongono apertamente al potere teocratico, il quale nonostante le dinamiche politiche vergano verso spazi più moderati (quelli che permetteranno al paese di crescere economicamente), mantiene ancora una linea reazionaria e anti-occidentale. Lunedì l’UE ha esteso fino al 2017 le sanzioni contro 82 funzionari iraniani, colpevoli della mancanza di rispetto dei diritti umani.

 



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