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Cari giornaloni, perché non fate mea culpa su Gianroberto Casaleggio?

GIANROBERTO CASALEGGIO

Visto ciò che si è detto e scritto in morte di Gianroberto Casaleggio, il co-fondatore del Movimento grillino chiamato 5 Stelle, c’è francamente da chiedersi che cosa abbia impedito per tanto tempo a tanti giornali, analisti, opinionisti, cronisti e quant’altri di non accorgersi dell’esistenza di un leader così innovativo e geniale. E se ne sia invece parlato a lungo come di un personaggio misterioso, anzi inquietante, al limite della legalità costituzionale, con tanto di accuse di spionaggio digitale, o quasi, dei parlamentari eletti nelle liste pentastellati, anch’esse bloccate nel 2013 con l’odioso sistema noto come Porcellum e parzialmente bocciato dalla Corte Costituzionale. Parlamentari dei quali alcuni sono usciti spontaneamente dai gruppi grillini del Senato e della Camera contestando l’assenza di democrazia nella gestione del loro movimento politico e altri espulsi con procedure a dir poco anomale, addebitate alla regia combinata del comico genovese e di Casaleggio, ma forse più del secondo che del primo.

Anche dagli elogi tardivi della “mente” scomparsa dei grillini, di cui Grillo sarebbe stato solo il braccio, se non il burattino proposto da Vauro in una impietosa vignetta che ha fatto tanto scalpore, è riemersa tuttavia una rappresentazione negativa del personaggio scoperto nei suoi valori con tanto ritardo.

Quando si è scritto della repentina morte di Casaleggio come di un “parricidio” avvenuto con la complicità della natura, da cui il movimento è quasi provvidenzialmente costretto a crescere, liberandosi di una leadership o co-leadership troppo forte, si è riproposta l’immagine di un partito tenuto troppo al guinzaglio da quando è nato: un partito cioè né autonomo né libero, in cui si è riso al comando di un fondatore e si è pianto o sofferto di troppa disciplina al comando dell’altro.

C’è poco da compiacersene, considerando che parliamo e scriviamo di un movimento politico che, a causa del dissesto politico di quello che fu il centrodestra, ha buone possibilità di contendere le prossime vittorie elettorali o referendarie al Pd e al governo di Matteo Renzi, magari sfruttando le onde emotive mosse proprio dalla prematura scomparsa di Casaleggio. Onde simili a quelle da noi già ricordate del 1978 e del 1984, sia pure in circostanze e con personalità tanto diverse, essendosi trattato allora di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer, che da morti procurarono ai loro partiti, la Dc e il Pci, più voti che da vivi.

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Stupisce che della presunta o reale genialità di Casaleggio, di cui si è scritto che abbia “cambiato la politica” in Italia più di chiunque altro, lo stesso Grillo, secondo le leggende riproposteci dai giornaloni, si sarebbe accorto solo nel 2004 subendone un’incursione di amichevole protesta nel camerino di un teatro contro l’abitudine comica di divertire il pubblico sfasciando sul palcoscenico un computer. Segno, secondo Casaleggio, non di apertura al futuro ma di chiusura a doppia mandata nel passato.

E’ possibile, mi chiedo, che di quella genialità non si fossero accorti a cavallo fra le cosiddette prima e seconda Repubblica quei formidabili scopritori di talenti che ritenevano di essere Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e gli altri inventori e fondatori di Forza Italia, ripropostisi appunto di cambiare la politica così tanto da renderla irriconoscibile a quanti l’avevano praticata sino a quel momento? Persino Antonio Di Pietro, un altro innovatore, che si era proposto, passando dalla magistratura al Parlamento e a un suo partito personale, di rovesciare la politica e il Paese come un calzino, ha confessato in memoria di Casaleggio di averlo incontrato e frequentato senza capirne del tutto le capacità, e trarne quindi vantaggio.

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha aspettato che il co-fondatore del movimento grillino morisse per ricordare e rivelare al pubblico la grande e positiva impressione che ne ricavò ricevendolo al Quirinale, con gli altri dirigenti pentastellati, all’indomani della propria elezione al vertice dello Stato, succedendo a Giorgio Napolitano. Che se n’è stato invece prudentemente zitto – lui, che pure è accusato dai suoi critici di continuare a parlare troppo – dopo la notizia della scomparsa di cotanta figura innovativa e appassionata della politica e, più in generale, del bene pubblico.


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