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Part time lavoro-pensione, ecco bugie e verità

Lavoro cassimatis, GIULIANO CAZZOLA

Chi ha osservato almeno i titoli dei quotidiani che commentavano il decreto applicativo del part time lavoro-pensione – introdotto nella legge di stabilità – si è imbattuto in una serie di indicazioni differenti per quanto riguarda l’età in cui le lavoratrici possono avvalersi del nuovo istituto (limitatamente ai settori privati, come del resto i lavoratori). Il busillis sta tutto nell’individuazione del requisito anagrafico dai cui andare indietro di 36 mesi.

Dopo alcune controverse verifiche pare che abbiano ragione coloro che hanno indicato 63,7 anni e non 62,7, dal momento che nel 2018 il requisito anagrafico per le donne sale a 66,7 anni e si allinea con quello degli uomini. I commentatori che si sono cimentati con un calcolo corretto hanno, anche loro, commesso un errore, quando sono pervenuti alla conclusione, un po’ arbitraria,  secondo la quale  alle donne delle nuove misure non gliene può fregar di meno, perché già la riforma Fornero consentiva a quelle nate nel 1952 di andare in pensione di vecchiaia a 64 anni.

Invece, una piccola differenza c’è ed è importante. Possono usufruire della finestra di 64 anni soltanto quelle lavoratrici che hanno maturato il requisito contributivo minimo di 20 anni entro la fine del 2012. Per godere del part time, invece, i 20 anni di anzianità di servizio necessari possono essere maturati anche dopo quella data, fino al momento della quiescenza. E’ più larga, quindi, la platea delle donne che possono utilizzare il part time di quella delle altre che sono in grado di avvalersi della “finestra Fornero’’.

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Ma c’è un altro argomento da considerare. Dove sta scritto che quanti decideranno di avvalersi del part time  – uomo o donna che siano – lo faranno in una logica di male minore rispetto alla (im)possibilità di varcare la soglia della pensione? Dove sta scritto che questa forma di invecchiamento attivo è in realtà un’uscita di sicurezza rispetto alla quiescenza? Questa soluzione, quindi, non è pensata come se fosse la flessibilità in uscita “che passa il convento’’, ma come una scelta di vita diversa compiuta da chi intende uscire gradualmente dal mondo del lavoro senza rimetterci troppo sullo stipendio e nulla sulla pensione.

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Il vero limite della norma è un altro, anche se non viene fatto notare nel dibattito: il vincolo dell’accordo con il datore di lavoro il quale probabilmente non avrà interesse ad assecondare i dipendenti che optano per tale soluzione, soprattutto in una piccola impresa.

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Molto meglio, comunque, quanto previsto in un decreto del jobs act con riguardo alla possibilità di inserire il part time dei lavoratori vicini alla pensione nel contesto di un accordo di solidarietà espansiva condizionato alla corrispondente assunzione agevolata di giovani.


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