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Papa Francesco a Lesbo tra parole, gesti e letture politiche

Il gesto più eclatante del Papa nella sua visita a Lesbo assieme al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e dell’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos, è stato senza dubbio la scelta di portare con sé a Roma tre famiglie di profughi siriani: dodici persone, tutte di fede musulmana, che saranno alloggiate in Vaticano. Famiglie che erano già sull’isola greca prima dell’entrata in vigore dell’accordo tra l’Unione europea e la Turchia.

IL GESTO “MAI COMPIUTO PRIMA”

Scrive sulla Stampa il vaticanista Andrea Tornielli che “non solo un pugno nello stomaco alla coscienza dell’Europa con una visita per asciugare le lacrime dei profughi. Non solo tre corone con fiori bianchi e gialli lanciate con i fratelli ortodossi nel mare trasformato in cimitero. La visita lampo di Francesco nell’isola greca si è conclusa con un gesto mai compiuto prima”. Il Pontefice – rispondendo a una domanda della vaticanista del Messaggero, Franca Giansoldati, ha voluto anche chiarire il perché si sia scelto di portare a Roma solo fedeli musulmani: “Non ho fatto la scelta fra cristiani e musulmani. Queste tre famiglie avevano le carte in regola, i documenti in regola e si poteva fare. C’erano, per esempio, due famiglie cristiane nella prima lista che non avevano le carte in regola. Non è un privilegio. Tutti e dodici sono figli di Dio. Il ‘privilegio’ è essere figli di Dio”.

IL TEMA DELL’IDENTITA’ CRISTIANA

Sul tema si è soffermato anche lo storico Andrea Riccardi, sul Corriere della Sera: “Francesco non condivide il rifiuto dei rifugiati (musulmani) in nome della difesa dell’identità cristiana, come avviene nell’Est europeo. Ha portato un forte appoggio alla Grecia in crisi su cui si scarica tanta parte dei rifugiati verso l’Europa. Il Papa si è mosso come un semplice cristiano con umanità e concretezza”. Sempre Riccardi aggiunge che per il Papa “l’accoglienza non minaccia l’Europa: l’integrazione è la via per il Papa. E’ la logica del ponte che risponde anche al bisogno demografico del vecchio continente”.

UN VIAGGIO (ANCHE) POLITICO

Il viaggio di Francesco ha avuto un’evidente caratterizzazione politica, soprattutto perché ha invitato la comunità internazionale a lavorare di concerto per risolvere non tanto il problema contingente – “non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento”, ha detto – bensì di “sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali”. La strada proposta porta a “costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove. Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza”.

LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA

Una proposta che si ritrova nella Dichiarazione congiunta firmata dalle tre autorità religiose che si sono recate a Lesbo: “La “tragedia della migrazione e del dislocamento forzata  – si legge – si ripercuote su milioni di persone ed è fondamentalmente una crisi di umanità, che richiede una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse”. Da qui l’appello affinché “sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza. Sono urgentemente necessari un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze, combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani, eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, e provvedere procedure sicure di reinsediamento”.

LA SORDITA’ DELL’EUROPA

“A Lesbo abbiamo visto ancora una volta che i cristiani uniti sono capaci di aprire porte di speranza per tutti. Era già accaduto per il conflitto israelo-palestinese, ora si è riprodotto nell’isola greca simbolo del dramma dei rifugiati, della sordità dell’Europa e dell’accoglienza del popolo greco: Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo ascoltano con un cuore solo e un’anima sola il grido dei poveri”, scrive sulla Stampa il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi.

“UN GESTO DI UMILIAZIONE”

Lo storico Alberto Melloni, dalle colonne di Repubblica, scrive che Francesco “ha compiuto un atto liturgico di intercomunione con l’ortodossia, toccando insieme la carne del Cristo povero nei poveri. Ha scelto di compiere un gesto di umiliazione: e alla propaganda jihadista sui crociati mostra un credente disarmato che può solo carezzare qualche viso di quelli che hanno vissuto per decenni sotto le bombe e devono fuggire portandosi la vita come bottino. E ha compiuto un grande gesto politico, che consiste nel girare le spalle alla politica, volgersi dalla parte delle vittime e parlare (anche alla politica) solo rimanendo lì, accanto al corpo di Abele: l’Abele dei morti distesi sul fondo dei mari che separano le terre della guerra dalle terre della paura”.

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