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Vi racconto le ultime sconfortanti piroette del centrodestra sul referendum No Triv

Per gli elettori dell’ormai ex centrodestra italiano, o di quel che n’è rimasto, già provato dal tormentone dei candidati alle elezioni comunali di giugno a Roma, la domenica referendaria di questo 2016 contro le trivelle è diventata una vera maledizione. E’ stata l’Epifania, fuori stagione, della loro crisi d’identità politica e di leadership.

Già l’ex centrodestra era compromesso dal fatto che fra le nove Regioni promotrici di questo referendum sostanzialmente antindustriale, teso a boicottare la produzione di energia con le estrazioni marine in nome del solito e spesso utopistico ambientalismo, ce n’erano due guidate dal leghista Luca Zaia e dal forzista Giovanni Toti, cioè il Veneto e la Liguria.

Sinistramente coerenti con l’iniziativa presa dalle altre regioni a direzione politica opposta, i governatori veneto e ligure hanno fatto la campagna referendaria per il sì all’abrogazione della norma che consente lo sfruttamento dei giacimenti, prevalentemente di gas, non ancora esauriti entro le dodici miglia dalla costa. E quindi per il no alle trivelle. Un no sovrapposto alla campagna politica contro il governo di Matteo Renzi sbocciata dalla campagna referendaria. Sbocciata però in modo per niente casuale, essendoci stato lo zampino della solita minoranza del Pd, il cui tasso di sinistrismo arcaico avrebbe dovuto e dovrebbe procurare l’orticaria ad un elettorato e ad una presunta classe dirigente di centrodestra, o di quello che fu il centrodestra.

A questa stravaganza se n’è tuttavia aggiunta un’altra non meno grave e autolesionistica, come vedremo: l’invito rivolto agli elettori dal capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, proprio in chiusura della campagna referendaria, collegato da casa con lo studio televisivo di Enrico Mentana e del suo Bersaglio mobile, a correre ai seggi per votare no.

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In dissenso apparentemente lodevole dai colleghi di partito o di schieramento che governano Liguria e Veneto, schierati per il sì all’abrogazione della norma che consente lo sfruttamento dei giacimenti marini già scoperti e sotto concessione, Brunetta ha valutato negativamente, bontà sua, l’effetto industriale del referendum.

Ma, con una disinvoltura degna, essa sì, del premio Nobel che mi pare abbia una volta dichiarato di poter meritare come economista, il mio amico Brunetta ha fatto capire, anzi ha spiegato che più importante del suo no alla norma anti-trivelle dovesse ritenersi la sua decisione di andare comunque a votare, anziché aderire all’astensionismo sostenuto o legittimato, come preferite, dagli appelli, fra gli altri, di Matteo Renzi e di Giorgio Napolitano a starsene pure a casa per far mancare alla prova referendaria la validità derivante dalla partecipazione della metà più uno degli aventi diritto al voto: il cosiddetto quorum.

Dato il carattere pregiudiziale della partecipazione al referendum per garantirne la validità, e con la validità anche il successo dei mobilitati per il sì all’abrogazione, sicuramente più numerosi, Brunetta aveva insomma deciso e consigliato di andare a votare no per contribuire a far vincere il sì. Un sì comodo perché equivalente al rovescio della medaglia del no, ormai ossessivo, dell’ex centrodestra a Renzi e al governo che dirige: su ogni tema e in ogni momento. Anche quando il sistema Italia, e non solo il governo di turno, sta giocando in Europa una partita decisiva per la sua sopravvivenza di fronte agli sviluppi drammatici del fenomeno dell’immigrazione, paragonabile alle epidemie di una volta. In particolare, si fronteggiano paesi che alzano muri, con gli applausi masochisti della destra leghista italiana, per rafforzare i loro confini ed altri, come il nostro, che avendo come confini i mari affollati di imbarcazioni di disperati restano più disarmati, col rischio sempre più concreto che quelli dei muri si sottraggano alla solidarietà. Senza la quale l’Unione Europea è solo un fantasma, o una tragica beffa.

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A qualcuno sarà venuto il capogiro a leggere la descrizione della linea di Brunetta, e del gruppo parlamentare, e del partito che gli è, o dovrebbe essere alle spalle. Ma è ormai diventato, appunto, da capogiro tutto l’ex centrodestra, o quel che ne rimane, su qualunque versante uno cerchi di scrutarne contenuto ed azione.

Come ciliegina sulla torta della confusione e dell’incoerenza, ormai manca solo la partecipazione dell’ex centrodestra agli stravaganti tentativi – leggi alla mano, grazie alle loro illogicità – di trasformare in reato la posizione assunta dai “pubblici ufficiali” Renzi e Napolitano a favore dell’astensione. E di trascinarli quindi davanti a qualche tribunale per risponderne penalmente. Una cosa semplicemente da pazzi, visto che l’astensione da un referendum abrogativo è un diritto derivante dalla prescrizione costituzionale del cosiddetto quorum di partecipazione per la validità della consultazione elettorale.

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Di fronte a tale e tanto sbandamento dell’ex centrodestra, a lungo scambiato per la rappresentanza della parte moderata del Paese e del suo elettorato, mi rimane solo la sorprendente ma confortevole occasione di ritrovarmi in sintonia con Eugenio Scalfari. Che, già schieratosi il 3 aprile per “un’astensione di massa” dal referendum del 17 contro le trivelle, è tornato proprio nel giorno delle urne a denunciare la “scorretta” strumentalizzazione della prova referendaria “per incoraggiare o punire il leader di turno”, cioè Renzi. Al quale il fondatore di Repubblica ha solo dato il dispiacere di preannunciargli il no, con tanto di partecipazione referendaria in autunno, alla troppo pasticciata riforma costituzionale che porta il suo nome. E sulla cui ratifica da parte dell’elettorato, a prescindere da quanti accorreranno al voto, mancando per questo tipo “confermativo” di referendum il cosiddetto quorum, il capo del governo ha notoriamente scommesso la sua stessa carriera politica.

E’ un no, quello di Scalfari alla riforma costituzionale, non del tutto immotivato, a dire il vero, che lo farà però trovare assai scomodamente in compagnia anche di Berlusconi, Brunetta, Salvini e Grillo. Egli avrà perciò forse modo di ripensarci, magari all’ultimo momento, spiegandone con franchezza le ragioni.



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