La concezione europea di diritti umani non si può applicare all’Egitto in guerra con il terrorismo, ha precisato Abdel Fattah al Sisi durante l’incontro al Cairo col parigrado francese, il presidente François Hollande. Una dichiarazione che salva la linea su entrambi i fronti: Sisi evoca il pericolo (anche reale) del terrorismo per giustificare la rudezza del regime, Hollande trova una giustificazione che riabilita agli occhi dei critici la corposa mole di affari in cantiere tra i due paesi.
ANTIPASTO MILITARE
Nel menù degli incontri tenutisi nei due giorni passati ci sono stati contratti e accordi che riguardano vari settori, a partire dall’ambito militare. Airbus Space Systems e Thales Alenia Space (per il 33 per cento posseduta da Finmeccanica) saranno i contractor per la vendita di un sistema di comunicazioni satellitari da circa 600 milioni di euro; i satelliti dovevano essere due, ma aggiungendo quello da osservazione previsto nel preliminare il conto si faceva troppo salato (su questo giocano i russi, che hanno presentato un’offerta più conveniente per il secondo satellite). La visita di Hollande punta a sbloccare anche le trattative per la vendita di altre due corvette Gowind (quattro già vendute nel 2015), del pattugliatore “Adroit” (usato) e di un altro pattugliatore classe P400, tutti prodotti dal grande gruppo navale Dcns nei cantieri di Pirou e Lorient; queste operazioni dovrebbero essere finanziate attraverso Coface, la Compagnie Française d’Assurance pour le Commerce Extérieur, agenzia che copre le garanzie per le aziende francesi che lavorano all’estero, detenuta per il 58 per cento dal governo e per il resto da Natixis, importante banca di investimenti francese. Tutte queste unità navali possono trasportare elicotteri come l’NH-90, in predicato di chiusura anche questo affare; mentre potrebbero arrivare in Egitto anche altri 12 caccia Rafale della Dassault Aviation (da aggiungere ai 24 venduti lo scorso anno), opzionati se l’Egitto decidesse di vendere i propri Mirage 2000 all’Iraq, e 4 Falcon-7X, prodotti sempre dalla Dassault, che potrebbero andare a sostituire la flotta decrepita di aerei di stato utilizzati dal governo del Cairo.
L’Eliseo non ha confermato importi, che dovrebbero comunque aggirarsi per il momento intorno agli 1,5 miliardi di contratti chiusi, e più del doppio di opzioni ancora aperte.
I PIATTI FORTI
La vendita di armamenti è un passaggio che avvicinerà la Francia all’Arabia Saudita, che ricambia, finanziando l’Egitto, lo stop prematuro dato ad un accordo che avrebbe dovuto portare 3,3 miliardi di armamenti francesi in Libano: molte delle trattative tra Egitto e Francia erano già in corso prima della decisione di Riad tagliare i fondi a Beirut, ritenuto dai sauditi troppo influenzato dall’Iran, ma alcune accelerazioni possono essere collegate. La presenza del regno dietro alla flebile economia egiziana farà da garanzia anche per altri affari: Vinci Construction Grands Projets e Bouygues, due grandi gruppi delle infrastrutture francesi, hanno annunciato di aver chiuso il contratto per la costruzione anche delle linea 3 della metropolitana del Cairo (“anche” perché si sono occupate già delle 1 e della 2). Cento chilometri coperti, 17,7 di linea con un passaggio sotto al letto del Nilo, 15 nuove stazioni, un accordo co-firmato da Sisi e Hollande domenica. 1,1 miliardi di euro prestati dall’Agenzia francese per lo sviluppo (che avrà garanzie da Riad, e intanto incasserà gli interessi). Firmati, ma non definiti, anche altri protocolli di intesa che riguardano altri progetti infrastrutturali: il consiglio per gli affari bilaterali egiziano si aspetta un incremento del 10 per cento degli investimenti di Parigi nel paese entro il 2017 (Union de Banques Arabes et Françaises, Ubaf, sta preparando fondi di investimento per 1 miliardo di euro). La Renault per esempio, ha già espresso interesse ad aprire una fabbrica in Egitto; mentre è previsto anche un aumento dell’import/export alimentare.
I CONTORNI
Altri contratti sono stati chiusi nel settore delle energie verdi: l’Egitto ha potenzialità enormi sul settore delle rinnovabili, e per questo vuole attirare investimenti e know how nel paese (protocolli di intesa dal valore di 2,2 miliardi di euro sono stati firmati già ad inizio aprile dal ministro dell’Energia Mohamed Shaker con l’ambasciatore danese). Durante la due giorni al Cairo, la Engi, multinazionale energetica francese nata dalla fusione di Gaz de France e Suez, ha stipulato contratti con la National Renewable Energy Association (NREA) e la Egyptian Electricity Trasporti Co (EETC) per la costruzione di due campi eolici da 50 MW e uno fotovoltaico di uguale produzione lungo l’asta del Nilo, che saranno probabilmente finanziati da Ubaf. Engi sta già lavorando con l’egiziana Orascom e la giapponese Toyota Tsusho su un progetto eolico da 250 MW nel golfo di Suez. Contratti chiusi anche per il commercio di LNG, gas naturale liquefatto.
IL DOLCE (AMARO)
Approfittando del relativo disinteresse americano, che ha avuto difficoltà a definire la presa di potere di Sisi un golpe per non vedersi costretta (per legge) ad interrompere i rapporti di interessi con l’Egitto e che adesso soffre il peso di media e opinione pubblica che vorrebbe asciugte al minimo le relazioni col Cairo, la Francia sta cercando di insinuarsi e far valere la propria influenza. Parigi gioca da tempo un ruolo centrale nel Nordafrica e nel Sahel, ma in Egitto e in Libia non ha lo stesso appeal che in Mali o Algeria. Nonostante tutta questa impalcatura di affari, per esempio, la Francia per il Cairo resta comunque un partner commerciale secondo all’Italia.
Per questo Hollande ha scelto la sponda di Sisi anche per giocare influenza in Libia: lunedì, durante una conferenza congiunta, il presidente francese ha spiegato che il suo paese appoggia le fatiche del premier-Onu Fayez Serraj, ma ritiene che il generale Khalifa Haftar possa essere parte della soluzione. Il fatto è che, invece, in questo momento Haftar, generale freelance ingaggiato dallo pseudo governo di Tobruk per guidare le proprie forze armate, rappresenta uno dei polmoni del problema: l’altro è la sponda politica di Haftar, Aguila Saleh, che non vuol far votare al parlamento che presiede, unico legittimato a farlo, la fiducia al governo Serraj, rallentando il processo di pacificazione. Saleh e Haftar si muovono sotto egida e geopolitica egiziana: in teoria invece Parigi dovrebbe essere uno degli stakeholder dell’Onu.