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Che si dice del primo discorso di Donald Trump sulla politica estera

Donald Trump

“America first sarà il tema principale e prevalente della mia amministrazione”, è questo il passaggio chiave del primo discorso serio sulla politica estera dell’ormai quasi-definitivo candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump: e le parole di Trump, che ha delineato la sua agenda mettendo al primo posto solo l’America, hanno allarmato gli alleati storici degli Stati Uniti, che temono come conseguenza di un’eventuale vittoria del miliardario un ulteriore ritiro di Washington dallo scacchiere internazionale.

REAZIONI MODERATE, PROTOCOLLO

“Posso solo sperare che alla campagna elettorale negli Stati Uniti non manchi la percezione della realtà”, ha detto Frank-Walter Steinmeier. Il ministro degli Esteri tedesco, sperando nel feedback negativo tra gli elettori americani, è stato l’unico ad allontanarsi dal protocollo, che attualmente vede i leader mondiali piuttosto cauti sul criticare apertamente Trump, ha notato la Reuters: il senso è chiaro, dovesse vincere, The Donald sarebbe la controparte con cui tessere i rapporti futuri a Washington, e si cerca in questo momento di moderare le esternazioni per non crearsi successivi problemi. Non sono più i tempi (era solo dicembre) in cui il premier inglese David Cameron definiva “elemento di divisione, stupida e sbagliata” la sparata di Trump per vietare l’ingresso negli Stati Uniti ai musulmani. Ora si cerca di glissare, ma è la stessa Reuters a raccogliere opinioni fortemente negative, rigorosamente anonime, tra gli alti funzionari europei: “Una presidenza Trump sarebbe un disastro per i legami Ue-Usa” dice una di queste voci, che aggiunge “[Trump] non ha comprensione della natura complessa e delicata della politica estera alle porte dell’Europa”.

ISOLAZIONISMO, NAZIONALISMO

La declinazione trumpiana di “America First”, nome storico (era il comitato che invocava la neutralità americana ai tempi della Seconda Guerra Mondiale), è un’alternativa alla “Freedom Agenda” di George W. Bush e al realismo della “dottrina Obama”: è un nazionalismo spinto all’isolazionismo, un disinteressamento aggiornato alle dinamiche attuali. Nel discorso di giovedì scorso, il primo leggendo dal telemprompter, stile più presidenziale dei comizi di pancia visti finora, Trump delinea un’America “great again” attraverso una politica più ristretta all’interesse nazionale, che deve restare chiuso all’interno dei propri confini, per niente globalista, molto disimpegnata, perché quello che avviene dentro a quei confini è molto più importante delle dinamiche globali: “Non cederemo più alle false sirene del globalismo”, una dichiarazione programmatica. Nello scenario perfetto, il Center for the National Interest fondato da Richard Nixon, laboratorio di pensiero politico realista, il miliardario newyorkese ha delineato “un mondo a corto di principi”, dice Mattia Ferraresi del Foglio: “Uno scacchiere dominato dai rapporti di forza e dai negoziati, un mondo dove i Bush, i Clinton e Obama sono macchiati dallo stesso peccato originale della geopolitica a trazione morale”.

RAGGIUNGERE UN ELETTORATO BASSO

“Nella forma, sentire Trump pronunciare un discorso politico, nel vero senso della parola, non infarcito di insulti ad avversari e altri protagonisti politici, è stato strano”, nota con Formiche.net Gianluca Di Tommaso, analista di politica americana per Wired e curatore del blog specializzato US Insider: “Gli effetti dei nuovi consulenti che vogliono farlo apparire più presidenziale, in vista di una possibile contested convention, gli hanno tolto tutta la sua verve da intrattenitore”. Ora è il momento di America First, che mette in secondo piano l’essere aggressivo, intollerante, antipatico. “Nella sostanza, qualsiasi sia il tema, economia, lavoro, immigrazione o politica estera, Trump declina il concetto di America first, che rappresenta una semplificazione notevole per arrivare allo zoccolo duro del suo elettorato: zone rurali, ceto basso e scarsa scolarizzazione, del suo claim ‘Make America Great Again!’, dove la parola più importante è again’. Trump è il primo candidato degli ultimi decenni ad attaccare apertamente l’eccezionalismo americano, che è sempre stato una sorta di tabù per i politici di ogni partito. In altre parole, Trump basa tutte le sue proposte politiche partendo dall’idea che l’America sia in declino e lui rappresenti l’eccezione, l’unico che può riportare il paese ai fasti di un tempo. Un’idea che all’elettore repubblicano medio, quello più legato al partito, non piace affatto”.

LO STATO-NAZIONE È IL FONDAMENTO DELL’ARMONIA

Nello scenario delineato da Trump, quell’again si ottiene curandosi di più degli affari nazionali che di quelli globali, escludendo, chiudendosi, isolandosi, tralasciando il ruolo americano di superpotenza eccezionale, per poi raggiungere accordi da posizioni disimpegnate, e dunque, secondo lui, di forza. “Come nazione dobbiamo essere imprevedibili”, ha detto Trump, negoziare strategicamente con alleati come Russia e Cina, che sono diventati avversari per gli errori di Washington (ossia dei suoi predecessori), occorre “aggiornare” la missione della Nato: “Lo stato-nazione rimane il vero fondamento della felicità e dell’armonia. Sono scettico nei confronti di consessi internazionali che ci legano e portano giù l’America, e non accetterò mai accordi che riducono l’abilità di controllare i nostri affari” ha detto Trump. Una serie di messaggi non certo troppo incoraggianti per gli alleati, europei e non. “Un abbandono sia degli alleati democratici che dei valori democratici”, l’ha definito su Twitter l’ex primo ministro e ministro degli Esteri svedese Carl Bildt. “Un hara-kiri”, l’abbandono dell’internazionalismo storico americano, quello Stato-Nazione fondamento di “felicità e armonia”, secondo l’ex consulente sulla sicurezza nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinsk. Diversa, ovviamente, l’interpretazione di Newt Gingrich, l’ex speaker della Camera che da diverse settimane fa da stumping per Trump tra i politici di Washington: le élite ironizzano sul fatto che ha sbagliato a pronunciare il termine “Tanzania”, ha scritto sempre su Twitter, ma “non capiscono che ha detto la parola più importante nel modo corretto: America”.

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