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Cosa succede (e chi c’è) a Mosul

L’offensiva alleata attesa da tempo per riprendere il controllo di Mosul, roccaforte irachena dello Stato islamico, è in fase di stallo, e così in questi giorni i baghdadisti sono tornati all’attacco.

GLI SCONTRI AL NORD

A nord della città, nei pressi dell’abitato cristiano di Tel Skuf (o Tel Asqof) un gruppo di miliziani jihadisti ha assaltato le posizioni dell’Assyrian Christian militia che, alleata con i peshmerga curdi, protegge l’area. Blindati imbottiti di esplosivo per sfondare il fronte, colpi di mortaio, razzi Rpg, l’assalto dei soldati del Califfato ha seguito tattiche già note: la battaglia ha un suo peso nella narrativa baghdadista, perché è stata intitolata al defunto leader, secondo nella catena di comando solo al Califfo, Abu Ali al Anbari, ucciso da un raid statunitense a marzo. Durante gli scontri, un Navy Seals è rimasto ucciso. Una forza di reazione rapida era in zona per proteggere un incontro di ufficiali alleati con i curdi, e vista la situazione una ventina di forze speciali americane sono intervenute (forse con loro anche inglesi ed italiani, come ha scritto Guido Olimpio sul Corriere della Sera, riportando anche la smentita dal ministero della Difesa italiano; anche il Pentagono ha detto che c’erano solo americani). Scattato anche l’appoggio aereo della Coalizione, con 31 bombardamenti per contenere l’attacco dello Stato islamico. Secondo la ricostruzione del Washington Post, durante lo scontro a fuoco, un RPG ha colpito il blindato in cui si trovava l’operatore americano, che una volta uscito dal mezzo si è trovato sotto il fuoco di un cecchino. Il Navy Seal ucciso è il terzo americano Kia, ossia Killed in action, negli ultimi mesi: un altro era morto durante un blitz in Iraq, un Marines era rimasto sotto i colpi di mortaio che centrarono la base di fuoco d’artiglieria di Makhmour, poco lontano dal luogo degli scontri avvenuti all’alba di lunedì.

L’AREA CALDA DELLA DIGA CHE AGGIUSTERANNO GLI ITALIANI

Mosul è l’area più calda dello scontro con lo Stato islamico (molto di più di Aleppo, in Siria, che in questi stessi giorni è oggetto di una rinnovata ondata di scontro tra governativi e ribelli, che per assurdo lascia spazio all’Is, e miete vittime tra i civili). Mosul è anche il territorio dove i militari italiani potrebbero essere schierati nei prossimi mesi per fornire sicurezza ai lavoratori della ditta Trevi, l’impresa di Cesena che si occupa di infrastrutture e che s’è aggiudicata la gara indetta dal governo di Baghdad per la sistemazione delle paratoie che permettono il deflusso delle acque dalla grande diga. La diga, la cui stabilità si lega a continue iniezioni di malte cementizie in profondità (jet grounting) per consolidare gli strati gessosi in continua idro-erosione, secondo gli ingegneri americani è a rischio collasso: scenario che potrebbe comportare conseguenze catastrofiche fino alle aree molto a sud in cui si trova Baghdad, viste le dimensioni dell’invaso. Le paratoie servono per regolare le uscite dell’acqua dell’impianto idroelettrico, che produce la corrente che poi viene utilizzata in larga parte a Mosul, ossia nella più grande delle città controllate dallo Stato islamico; non si può però prevedere di interrompere il flusso, sia per ragioni tecniche, sia per questioni umanitarie, in quanto l’utenza raggiunge migliaia di civili, e così il governo iracheno paga i lavori di sistemazione ad un’infrastruttura di cui per larga parte usufruisce il Califfo.

LA DICHIARAZIONE AMBIGUA DI RENZI

Proprio sulla questione dei soldati italiani a Mosul, al centro del dibattito politico italiano dopo il primo annuncio del governo sull’invio, martedì c’è stata una dichiarazione ambigua del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che parlando da Firenze mentre rivendicava di aver tenuto botta alle pressioni internazionali che richiedevano un (non meglio specificato) intervento dell’Italia in Libia, ha detto, come riferisce l’Ansa, che soldati inviati da Roma si trovano già in Afghanistan e “a Mosul in Iraq”. È la prima volta che si parla apertamente della presenza di questo contingente.

LE INFORMAZIONI DAL POSTO

Daniele Raineri è un giornalista del Foglio che si occupa di politica estera, e segue le vicende dello Stato islamico spesso anche dal posto. Martedì 3 maggio ha pubblicato un reportage molto accurato, con vari dettagli tecnici, proprio dalla diga di Mosul. Secondo quanto riferito dal vicedirettore dell’invaso al giornalista italiano i lavori della Trevi non sarebbero necessari, e “nemmeno i vostri soldati, perché i nostri peshmerga sono in grado di difendere la diga già adesso, e anche prima quando lo Stato islamico era a soltanto a tre chilometri. Del resto sono stati loro a riprenderla”. Quanto riportato da Raineri coincide con le informazioni ottenute da Formiche.net e pubblicate il 18 aprile: anche in quell’occasione fonti dal posto avevano riferito che a protezione della diga sarebbero restati i soldati curdi, e avevano fatto cenno al fatto che più che per un’emergenza tecnica impellente, l’allarmismo era mosso come operazione mediatica americana per spaventare lo Stato islamico (se crolla vi spazzerà via l’acqua, la sistemiamo ma ci mettiamo i soldati vicino). Queste dichiarazioni comunque sono da tarare dal peso, notevole, della propaganda curda ed irachena.

LE INFORMAZIONI DI REPUBBLICA

Nell’accurato reportage di Raineri non c’è nessun cenno alla presenza di soldati italiani nell’area della diga, e per lo meno il giornalista non li ha incontrati; si conferma anche che per ora c’è soltanto un tecnico della Trevi (stessa informazioni ottenuta da Formiche.net attraverso fonti occidentali) che sta occupandosi di supervisionare la costruzione del compound abitativo che ospiterà i lavoratori. Dunque, i soldati di cui ha parlato Renzi, non sono visibili nell’area della diga. Eppure il 20 aprile, Gianluca De Feo su Repubblica scriveva: “Sono arrivati [alla diga] gli ingegneri che studiano l’impianto, i carotaggi per analizzare le condizioni del cemento, le ruspe che spianano l’area per ospitare i macchinari. Tutto sotto lo sguardo vigile di alcuni incursori in abiti borghesi, senza armi visibili”.

SPIN O ERRATO RIFERIMENTO?

Il ministero della Difesa italiana, contattato da Formiche.net, non ha per ora fornito commenti e chiarimenti. E dunque restano due supposizioni: o Renzi sta anticipando comunicativamente, per ammorbidire il dibattito, l’invio dei militari, oppure il presidente del Consiglio faceva riferimento ai reparti speciali italiani schierati ad Erbil, poco a nord di Mosul nel Kurdistan iracheno. Questo team sarebbero arrivato circa un mese fa, supportato da elicotteri da combattimento Magusta, con compiti più operativi degli addestratori già presenti in zona. I loro incarico in gergo militare è definito CSAR, Combat search and rescue, ossia operazioni di recupero, ricerca e salvataggio in ambienti ostili, tipo quello che si era creato tre giorni fa a Tel Skuf, e cioè a poco più di venti chilometri dalla diga di Mosul.

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