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Come si muove la Russia in Siria

crisi siriana

“Preghiera su Palmira. La musica anima le antiche mura”, si intitolava così il concerto eseguito dall’Orchestra Sinfonica del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, diretta dal famosissimo Valery Gergiev, con cui tre giorni fa la Russia ha voluto celebrare la “vittoria della civiltà sui barbari”, là, nello stesso anfiteatro usato pochi mesi prima per esecuzioni di massa di dissidenti e traditori del Califfo. Nota di costume: il violoncellista della sinfonica, che ha anche suonato un assolo su musica di Shchedrin, era Sergej Roldugin, intimo del presidente Vladimir Putin, link dello Zar russo con il caso Panama Papers.

IL SUONO DELLA PROPAGANDA

A circa due mesi dalla riconquista della città, unico atto pratico (oltre che simbolico) della lotta allo Stato islamico imbastita da Mosca, i russi esaltano la loro parzialissima vittoria con un’esibizione in grande stile, ripresa dai media di tutto il mondo. Poco importa che nell’hinterland cittadino l’Is abbia riattaccato su alcune aree, che il governo siriano, senza l’appoggio delle unità speciali russe (inquadrate in un video dalla Cnn ai tempi della battaglia), non è in grado di mantenere sotto il proprio controllo. Esempio lampante: lo Stato islamico giovedì ha preso nuovamente il controllo del campo gassifero di Shaer, che si trova nel deserto di Palmira. Un pezzo di terra che ha cambiato varie volto bandiera: i jihadisti attaccano e conquistano, i governativi tornano in forze, riprendono il controllo e poi mollano di nuovo. Risultato: tutte le volte i baghdadisti finiscono per arricchirsi di nuovi armamenti lasciati indietro dai soldati siriani in fuga.

LA MUSICA DI ALEPPO

L’ambiguità russa va in scena: mentre suonavano le soavi note di Bach e Prokoviev, un campo profughi a Kamouna, confine turco/siriano, finiva sotto le bombe dei governativi; “Ascrivibile a un crimine di guerra”, ha dichiarato il segretario dell’Onu per gli Affari umanitari, Stephen O’Brien, chiedendo l’apertura di un’inchiesta. Dal posto hanno accusato i russi, più probabile però si sia trattato di un colpo orribile dell’aviazione di Bashar el Assad, ma poco cambia. Quel concerto a Palmyra suonava anche in suo onore. Il telecronista di Rossija1 ha chiuso il collegamento definendo la messa in scena “l’omaggio della Palmyra del Nord alla Palmyra liberata”, citazione di Alexander Pushkin nel “Cavaliere oscuro”, definizione usata dal poeta per San Pietroburgo. Un anticipazione delle Festa della Vittoria (il 9 maggio) come il telegramma inviato da Assad a Mosca: “Stalingrado è cara ad Aleppo e a tutte le città siriane. La Siria promette che continuerà a combattere finché gli aggressori non saranno sconfitti e la vittoria sarà nostra”. Altra propaganda, altro passaggio: la vittoria della battaglia con cui i sovietici bloccarono i nazisti, quella di Stanligrado, paragonata alla battaglia di Aleppo: il presidente siriano ha detto che non avrebbe accetto “meno di una vittoria completa” su Aleppo e poi in tutto il paese.

LA TREGUA (QUASI)

La città al nord siriano è il fulcro della guerra da qualche mese, chi la spunta si porterà molto avanti in quella che Assad ha definito “la vittoria finale”. Adesso è (più o meno) in piedi una tregua da giovedì, decisa da Russia e Stati Uniti, e Assad ha detto che la rispetterà; tra ciò che dice e ciò che fa ci passano attacchi come quelli di Kamouna per esempio. Nella notte tra venerdì e sabato il ministero della Difesa russo ha fatto sapere che il regime di “silenzio delle armi” resterà in piedi per altri tre giorni. Poi sarà da vedere, perché in teoria, il cessate il fuoco più ampio, quello siglato il 27 febbraio è ancora in atto, sebbene dirlo sembri una boutade. Oltre trecento i morti segnalati dal 22 aprile ad oggi, quasi tutti civili.

PER CHI NEGOZIA L’AMERICA?

Intanto i russi però sembrano avere una controparte, brutale e sanguinosa come il regime di Assad, ma presente sul campo di battaglia, mentre gli americani non hanno con le fazioni ribelli quel feeling necessario alla delega negoziale. Washington non sa se staranno ai patti i ribelli, oppure ritorneranno all’attacco scatenando poi un’altra ondata orribile di bombardamenti e contrattacchi governativi. Giovedì, il giorno stesso dell’inizio della tregua, i qaedisti della brigata al Nusra hanno riconquistato un villaggio a sud di Aleppo, le stime sulla battaglia parlano di 73 morti. A combattere al fianco dei jihadisti di al Nusra anche fazioni del Free Syrian Army, macrocosmo ribelle considerato moderato e che in teoria dovrebbe rispondere alle linee politiche americane.

Lunedì a Parigi il segretario di Stato statunitense guiderà una riunione del London Ten (il gruppo di amici della Siria composto da Usa, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Turchia, Emirati, Giordania, Qatar e Arabia Saudita). Gli alleati arabi hanno più influenza che gli americani sulle fazioni combattenti, questo è chiaro, ma nemmeno loro rispettano troppo la linea dettata da Washington e seguono un’agenda personale. Il punto è sempre quello: Assad. Gli americani sono troppo morbidi, non vogliono impegnarsi fino in fondo, e si piegano troppo alle volontà russe, secondo le indispettite capitali del Golfo, e pure qualche Paese europeo comincia a perdere la pazienza diplomatica, come la Francia per esempio, che vorrebbe usare un leva più rigida contro il regime. Notare che fino a qualche mese fa del gruppo che si incontrerà lunedì faceva parte anche l’Egitto e il gruppo si chiamava London Eleven, ma ormai il Cairo s’è sfilato per allinearsi su una traiettoria più vicina a Mosca.

RETROSCENA DA MOSCA A DAMASCO

La rivista specialistica Intelligence Online scrive che la Russia sta giostrando i tavoli negoziali con estrema fluidità; in fondo era questo l’obiettivo di Putin quando ha deciso per la rimodulazione al ribasso dell’intervento in Siria. Durante l’ultimo round dei talks a Ginevra il vice ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov avrebbe ottenuto che l’abbandono di Assad, uno dei punti non negoziabili per ribelli e alleati occidentali e regionali, non venisse nemmeno messo in agenda. La Russia, secondo la rivista specialistica francese, starebbe cercando di creare una nuova entità di opposizione alternativa all’High Negotiations Comitee, ritenuto troppo influenzabile da sauditi e turchi. Il nuovo corpo diplomatico avrebbe l’appoggio di Egitto, Emirati Arabi e Algeria e vedrebbe ai vertici l’ex vice premier siriano Qadri Jamil (esiliato in Russia nel 2013) e Ahmad al Jarba (altro leader dell’opposizione, comunque vicino alla famiglia reale saudita): così l’organismo sarebbe più gestibile da Mosca.

SEGUIRE LINEE E INCONTRI

Movimenti diplomatici, come quello che ha portato il vice ministro dell’Industria siriana Nidal Falluh in Bielorussia: dietro alla dichiarazione ufficiale sull’incontro avvenuto il 3 maggio, “technical cooperation”, si nasconderebbe il passaggio di armi tra amici del Cremlino. Lo scorso mese c’è stato un altro contatto del genere, ma in Corea del Nord. Sulla stessa linea, Mosca sta continuando ad inviare armamenti in Siria attraverso la ben nota staffetta “Syrian Express”: tre giorni fa la nave da trasporto “Saratov” solcava il Bosforo con a bordo le sagome riconoscibili degli Iveco Lince, i mezzi di fabbricazione italiana che la Russia aveva comprato in massa nel 2013, ora ritenuti non aderenti agli standard dell’esercito russo e dunque spediti per puntellare gli alleati.

PROGRAMMI MILITARI

Se questo è il piano più o meno diplomatico, anche quello militare procede: sempre Intelligence Online ha un’altra indiscrezione ottenuta attraverso una fonte libanese in merito alla visita alla base aerea di Hmemym, quartier generale russo a Latakia, del comandante delle operazioni in Siria, il generale Andrei Kartapolov, che si sarebbe incontrato con il capo della operazioni estere dei Pasdaran Qassem Suleimani (già in visita Mosca a metà aprile) e con Maher al Assad, fratello del presidente per pianificare l’offensiva su Aleppo.


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