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Vi spiego come e perché il debito di Roma è fuori controllo

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Non è facile venire a capo dei conti della Gestione commissariale relativa al debito pregresso del Comune di Roma. Quel grande buco, accumulato negli anni passati, sia a causa delle risorse finanziarie insufficienti per gestire i costi della Capitale, sia per le grandi disfunzioni amministrative che ne hanno caratterizzato e ne caratterizzano la relativa organizzazione di cui Mafia Capitale, è solo un ultimo, seppur rivoltante, fenomeno.

Quando parliamo di difficoltà non ci riferiamo solo a qualche singolo episodio. Anche se aver avuto certezza della presenza di ben nove derivati non induce alla tranquillità. L’esperienza insegna che quegli strumenti, al di là della loro funzione assicurativa, troppo spesso si sono trasformati in un grande imbroglio. A tutto vantaggio di operatori finanziari in grado di assumere la veste del gatto e della volpe del libro di Collodi. Con l’ente locale a far la parte di Pinocchio nel Campo dei miracoli.

Le difficoltà riguardano soprattutto il quadro d’insieme e quindi le strategie poste in essere per giungere alla sua definitiva estinzione. Ancora oggi i dati ed i tempi non sono certi. Le ipotesi che si succedono scritte sulle sabbie mobili di un futuribile esposto a violente oscillazioni. Nella sua ultima relazione al Parlamento, Massimo Varazzani, prima di lasciare l’incarico di Commissario, aveva previsto un “debito finanziario residuo” – non coperto cioè dalle risorse pubbliche messe finora a disposizione – pari a “circa 3,8/4,0 Euro/miliardi” cui aggiungere una quota interessi “pari a circa 2,8/3,0 Euro/miliardi“. Per un totale di circa 6,6/7 miliardi. Ipotesi, subito smentita da suo successore – Silvia Scozzese – la quale prevede uno squilibrio di circa 2,3 miliardi, che potrebbe tuttavia essere parzialmente coperto “ipotizzando un incasso pari al 50% della massa attiva” dalla riscossione dei crediti a favore della stessa gestione.

Differenze così profonde richiederebbero spiegazioni supplementari. Vale a dire quell’aggiornamento del “piano di rientro” che corrisponde ad un preciso obbligo di legge. Dovrebbe essere stato presentato lo scorso 31 gennaio, per essere approvato con un decreto del dal Consiglio dei ministri, nei successivi 30 giorni. Ma del documento, non solo noi, non abbiamo traccia. In mancanza di quel quadro, che si spera analitico, non resta quindi che tentare di ricostruire quel che è possibile desumere dai vari documenti ufficiali, per poi mettere in fila i relativi numeri, nella speranza di tirar fuori qualche ragno dal buco.

L’interrogativo di fondo riguarda l’entità delle risorse finora stanziate per pagare i debiti contratti. Un dato più certo rispetto all’entità del debito effettivo. Che si conosce solo per grandi linee e con l’approssimazione di qualche miliardo. Il che la dice lunga sull’affidabilità della macchina amministrativa del Comune di Roma. La mancanza di un quadro complessivo ci costringe ad inseguire informazioni sparse in vari documenti pubblici. Un primo indizio è dato da una Relazione degli ispettori del MEF, che reca la data del 16 gennaio 2014. Frutto di una visita ispettiva durata diversi mesi, all’argomento il documento conclusivo dedica solo poche pagine. Al Comune di Roma, ai fini del contenimento del debito, il Tesoro trasferisce circa 1,5 miliardi. Tre versamenti di 500 mila euro all’anno, nel triennio 2008 – 2010, al lordo di 15 milioni che confluiscono direttamente nel bilancio ordinario dello stesso Comune.

Il conteggio definitivo di quanto resta da pagare è effettuato con il decreto legge 225 del 2010. La data presa in considerazione – lo spartiacque tra presente e passato – il 26 luglio dello stesso anno. Le previsione è di un debito netto pari a 10 miliardi e 65 milioni. Ma più che una previsione è una sorta di cabala. L’unico elemento certo è l’ammontare dei debiti finanziari, per la sola quota capitale: valutati in 7,124 miliardi. La rimanente parte è costituita dal saldo tra i debiti non finanziari ed i crediti, per un ammontare netto pari a 2,941 miliardi, fino a concorrenza dell’intero debito. Di fatto due incognite grandi come una casa. Per definizione i debiti dovevano essere “certi, liquidi ed esigibili”, secondo la formula di rito. Nella relazione al Parlamento del 5 aprile 2016, Silvia Scozzese, l’attuale Commissario, confessa candidamente: “Attualmente per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune di Roma non è individuato direttamente il soggetto creditore“. Valore dell’incertezza: oltre 1 miliardo.

Questa mancanza è in parte comprensibile, considerato che alcuni di questi debiti – si parla di circa 1 miliardo – si riferiscono alla “procedure espropriative pregresse…riferibili al periodo intercorso tra il 1950 ed il 1990“. Praticamente una diversa area geologica. Sennonché dalla data della costituzione della bad company – ossia la gestione speciale – avvenuta il 28 aprile 2008 sono passati ben 8 anni. C’era quindi il tempo per costringere i creditori – pena decadenza – a registrarsi: un po’ com’è avvenuto per i creditori nei confronti delle altre pubbliche amministrazioni. E’ stato fatto qualcosa? In assenza delle necessarie informazioni, non è dato sapere. Sul diverso versante dei crediti vantati dal Comune, sempre alla data della relazione Scozzese, le cose vanno leggermente meglio. La terra incognita riguarda “oltre il 77% delle posizioni” che “si riferisce a creditori non identificati analiticamente” cioè – è sempre la Scozzese che parla – “per un valore pari al 29% della massa attiva, cioè 541 milioni su 1 miliardo e 851 milioni di euro totali“. La fotografia più eloquente di un disastro amministrativo, oltre che contabile, che affonda le sue radici nella notte dei tempi.

Finora non abbiamo considerato gli interessi che gravano sui mutui contratti. Alla data del primo censimento (luglio 2010) ammontavano 6,688 miliardi: pari al 94% circa la quota capitale. Come mai una cifra così consistente? Il dato, fornito dalla Scozzese, fa impressione. Agli inizi del 2016 restavano da pagare mutui per circa 5,85 miliardi. Per l’82,55% il tasso era fisso al 5%. Per la restante parte a tasso variabile di poco inferiore. A rendere più pesante l’onere, un Buono Ordinario Comunale (BOC), scadenza il 2048, gravato da un tasso fisso annuale del 5,345%, per un valore di 74,83 milioni all’anno. Valore di rimborso 1,4 miliardi, in un’unica soluzione. Operazione lanciata nell’intervallo di tempo tra il 2003 ed il 2005, quando sindaco era Walter Veltroni. Poi, visto ch’era bene non farsi mancare nulla, su quel titolo sono stati innestati quattro contratti derivati (UBS, Dexia Crediop, JP Morgan, Barclays) chiusi nel 2011 e nel 2012. Il costo dell’intera operazione resta uno dei tanti piccoli misteri. Con un aggravante: nessuno ha pensato di predisporre le riserve annuali necessarie (la quota capitale) per non giungere alla scadenza con l’acqua alla gola: quando si tratterà di sborsare, cash, la cifra di 1,4 miliardi.

(1.continua; la seconda parte dell’analisi sarà pubblicata domani)

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