A marzo erano 5000, a fine aprile 900, l’altro ieri zero: nessun soldato italiano per adesso andrà in Libia, la missione di sicurezza per le sedi Onu Unsmil, e dunque anche di quella che protegge il governo etereo del primo ministro Fayez Serraj, sarà affidata al Nepal. “Pur essendo l’ex colonizzatore della Libia e lo Stato europeo più prossimo, l’Italia ha annunciato il suo rifiuto di inviare truppe nel Paese. Invece la responsabilità sarà a carico dei peacekeeping nepalesi, che provengono da un Paese ancora debilitato dal terremoto di un anno fa, così come dalle proteste violente di una minoranza etnica che hanno portato alla chiusura per mesi dei suoi valichi di frontiera vitali con l’India”. L’attacco del pezzo che il Washington Post dedica alla decisione di Roma di “prendere un’altra strada” per ragioni di sicurezza è programmatico, sarcastico.
Nonostante la costa libica disti appena 300 chilometri dall’Italia, e le rotte migratorie attraverso il Mediterraneo del sud abbiano visto arrivare già 30mila persone in Italia, a bordo di “barche sgangherate”, Roma sceglie il disimpegno, sottolinea il Washington Post. Nota doverosa: i numeri delle migrazioni sono destinati a salire, in virtù del blocco Grecia/Turchia concordato dall’Unione europea. Evidentemente gli americani non se ne capacitano sul come mai gli italiani, che volevano intestarsi a tutti i costi la guida risolutiva della crisi, con tanto di spin politico e titoli sui giornali, e che hanno nel Paese interessi economici e strategici, ora abbiano fatto un passo indietro. E riportano le parole dette appena dieci giorni fa al giornalista Anthony Faiola, sempre del Washington Post, dalla ministro della Difesa Roberta Pinotti, che a marzo aveva detto al Messaggero dei 5000 soldati pronti a partire: “Se l’Italia avrà motivo di pensare che la sicurezza del Paese è a rischio, ovviamente è disposta a prendere qualsiasi passo necessario” contro lo Stato islamico. (La sicurezza dell’Italia è a rischio? Di certo la retorica jihadista dello Stato islamico in Libia non perde occasione per rivendicare futuri attacchi su Roma).
“La possibilità che anche l’Italia fosse subito in prima linea è stata riesaminata dallo stesso Renzi con il capo dello Stato Sergio Mattarella”, scrive il Corriere della Sera, il primo a dare la notizia della rinuncia italiana; lo stesso quotidiano che invece tre settimane aveva svelato puntuali informazioni sul numero di soldati (900) che Roma avrebbe inviato per proteggere le sedi strategiche in Libia; il tutto, ovviamente, senza smentite. “Sono stati analizzati i report dei comandi delle forze armate e dell’intelligence proprio per avere un aggiornamento sulla situazione libica che tenesse conto degli equilibri politici dopo l’insediamento del nuovo governo e soprattutto della possibile minaccia fondamentalista nei confronti dei reparti militari stranieri”, ha scritto ieri la giornalista del Corriere della Sera, Fiorenza Sarzanini, a motivazione della scelta italiana.
E dunque in Libia andrà il Nepal, che è uno dei maggiori fornitori di forze di pace, sono 4363 i peacekeeper inviati da Kathmandu in 15 missioni in giro per il mondo, tra Haiti, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Siria e Libano. Per i nepalesi evidentemente la “possibile minaccia fondamentalista nei confronti dei reparti militari stranieri” conta di meno, oppure conta di meno il fatto che loro siano minacciati.