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Tutte le più recenti ramanzine di Papa Francesco ai vescovi

Jorge Maria Bergoglio

E’ stato breve il discorso che il Papa ha tenuto ieri, nell’Aula Nuova del Sinodo, davanti ai vescovi italiani riuniti per la loro sessantanovesima Assemblea Generale. Al centro della riflessione di Francesco, la figura del sacerdote, aspetto centrale di quel “rinnovamento del clero” che fa da tema all’assise dell’episcopato guidato dal cardinale Bagnasco. E il Pontefice non ha mancato di ammonire sui rischi molto terreni che corrono i preti nel mondo di oggi. Bergoglio stila una sorta di decalogo che mette in guardia su tutto ciò che può distrarre e far venir meno la convinzione che “l’amore è tutto”.

“IL SACERDOTE ABBIA UNO STILE DI VITA SEMPLICE”

E allora, il sacerdote “non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate”; “il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali. Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. E’ un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi”.

“NO AI NARCISISMI E ALLE GELOSIE CLERICALI”

No, ha sottolineato il Papa, ai “narcisismi” e alle “gelosie clericali”, prima di soffermarsi sulla delicata questione della “gestione delle strutture e dei beni economici”: “In una visione evangelica – ha detto – evitate di appesantirvi in una pastorale di conservazione, che ostacola l’apertura alla perenne novità dello Spirito. Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”.

“NON C’E’ UN’AGENDA DA DIFENDERE”

Un punto di rilievo su cui Francesco si è soffermato è relativo alla “funzione” che ha il sacerdote: “Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza”.

LA SVOLTA STRATEGICA E DI LINGUAGGIO

Non sono temi nuovi. Il Pontefice più volte – e non solo ai vescovi italiani – ha tenuto a rimarcare queste linee portanti che devono portare, appunto, al rinnovamento profondo del clero. Già a Firenze, in occasione del V Convegno ecclesiale della Cei che si tenne lo scorso novembre, Francesco pronunciò un discorso che sapeva di svolta strategica, nel senso che ribaltava la prospettiva di una chiesa militante e perennemente alla ricerca (o conquista) di uno spazio pubblico.

IL PRECEDENTE DEL 2014

In occasione della messa crismale del 2014, il Papa usò i medesimi argomenti, rivolgendosi al clero lì presente, citando le “tre caratteristiche significative nella gioia sacerdotale”. Gioia che, disse, “ci unge, incorruttibile e missionaria”. Unge ma, precisò, “non ci rende untuosi, sontuosi e presuntuosi”. E qui Francesco volle citare un esempio della sua esperienza sacerdotale: “Anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata”.

USCIRE DA SE STESSI COMPORTA POVERTA’

La gioia va sempre letta considerando la necessità di “uscire da se stessi”. E questo “richiede spogliarsi di sé, comporta povertà”. Molti, chiosava, “parlando della crisi di identità sacerdotale, non tengono conto che l’identità presuppone appartenenza.”. Ma “non c’è identità senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio”.

CONTRO IL “PRETE-GESTORE”

L’anno prima, nel 2013, stessa caratura all’omelia: “Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni”. Il sacerdote che esce poco da sé – aggiunse il Papa – che unge poco (non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione) si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore ‘hanno già la loro paga’ e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con ‘l’odore delle pecore’ – questo io vi chiedo: siate pastori con ‘l’odore delle pecore’, che si senta quello; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini”.


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