Non era quindi una balla, una maliziosa interpretazione della staffetta annunciata alla guida del quotidiano Libero, il giornale della famiglia di Antonio Angelucci, deputato ancora iscritto al gruppo berlusconiano di Forza Italia, la solidarietà politica espressa al direttore uscente Maurizio Belpietro dal grillino Alessandro Di Battista nello studio televisivo di Giovanni Floris, a la 7. Dove l’esponente del direttorio del Movimento 5 Stelle ha attribuito la successione di Vittorio Feltri, che è poi un ritorno, avendo fondato lui Libero a suo tempo dirigendolo per i primi nove anni, ad un’operazione politica di adeguamento dell’editore al presidente del Consiglio Matteo Renzi nella campagna referendaria per il sì alla riforma costituzionale targata appunto Renzi. Un sì sostanzialmente anticipato dallo stesso Feltri nel recente editoriale di passaggio dal Giornale a Libero: quello, ampiamente riferito da Formiche.net, in cui si spiegavano ai lettori le ragioni per le quali Silvio Berlusconi andrebbe considerato politicamente “finito”.
Con la sua nota franchezza Belpietro si è accomiatato dalla direzione di Libero in un modo che più chiaro non poteva essere: con un NO gridato su tutta la prima pagina alla riforma costituzionale, che Renzi – ha anche spiegato Belpietro nell’editoriale – ha studiato e si è fatto approvare dalle Camere “su misura” per lui, allo scopo di realizzare quell’ossimoro che è una “dittatura democratica”.
A completare il manifesto dell’ultimo numero del giornale uscito con la sua firma, Belpietro ha sistemato in un vistoso e colorato fotomontaggio un bavaglio, per quanto applicato a Marine Le Pen per via di un libro autobiografico che la leader della destra francese ha scritto ma, per quanto di “sicuro” successo di vendite, non riesce a trovare in patria un editore disposto a pubblicarlo, per motivi ovviamente tutti politici.
Contribuisce all’astuzia dell’ultima prima pagina di Belpietro a Libero lo zampino di Feltri con un articolo di tutt’altro argomento ma in qualche modo di riequilibrio personale nello scacchiere politico: un ritorno o una conferma nel campo di Berlusconi, pur politicamente “finito”, vista la richiesta, da parte dello stesso Feltri, della grazia presidenziale all’ex senatore Marcello Dell’Utri. Che sta scontando in cattive condizioni di salute la condanna definitiva a sette anni di carcere per l’obiettivamente fumoso reato di concorso esterno in associazione mafiosa: qualcosa che giustamente Feltri paragona alla famosa immagine, coniata da Enzo Biagi, della donna “un po’ incinta”.
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Le novità di Libero hanno naturalmente conquistato l’interesse, e un po’ anche la fantasia, sui fronti opposti del Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio e del Foglio fondato da Giuliano Ferrara e diretto ora da Claudio Cerasa.
Il Fatto ha “sparato” la notizia in prima pagina come un mezzo scandalo mediatico e politico del “Giornale unico del sì”, riferendo anche dell’imminente aggiudicazione concordataria del Tempo di Roma alla famiglia Angelucci e di una recente “cena a tre” fra l’editore di Libero, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, e l’allora direttore in pectore Feltri dedicata anche alla ripartizione dei fondi pubblici per l’editoria.
Il Foglio ha in qualche modo festeggiato il cambio di direzione al quotidiano con cui ha già condiviso in passato tante battaglie vedendovi la prova del progressivo allargamento di quello che Cerasa definisce “il Pr”, inteso come partito del referendum, cioè del sì alla riforma costituzionale. Che a sua volta sarebbe “il primo embrione del Partito della Nazione” da tempo attribuito ai progetti del presidente del Consiglio e segretario, per ora, solo del Pd, inteso come Partito Democratico.
Con la direzione di Vittorio Feltri Libero, secondo Cerasa, si troverà in buona compagnia, fra gli altri, con i giornali di Carlo De Benedetti, con la Fiat di Sergio Marchionne, con la Cisl, con Denis Verdini e gli altri fuoriusciti da Forza Italia, e persino con le reti televisive di Mediaset, che il presidente della società Fedele Confalonieri avrebbe deciso di impegnare a favore del sì al referendum, a dispetto del no sostenuto, anzi gridato con gli stessi argomenti di Belpietro, da quell’ostinato di Berlusconi. Al quale comunque il direttore del Foglio sembra volere concedere generosamente quattro mesi di tempo per un salutare ripensamento, che lo sgancerebbe finalmente da un fronte affollato di troppi suoi vecchi e consolidati nemici, a cominciare dalla corrente togata di Magistratura Democratica.
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Non meno caldo o accidentato del fronte mediatico è quello politico del referendum d’autunno sulla riforma costituzionale. Pier Luigi Bersani, per esempio, sia pure con il suo solito stile ironico e apparentemente distaccato, ha fatto cadere anche il nuovo appello alla tregua, o moratoria, delle polemiche interne lanciata da Renzi in un incontro con i segretari provinciali e regionali del partito, invitati a mobilitarsi per il sì “a testa bassa”. Ma anche “alta”, ha aggiunto Renzi esortandoli pure a valorizzare in periferia i risultati pratici dell’azione di governo, secondo lui notevolissimi.
Bersani ritiene invece che debba essere ammesso e tutelato nel partito anche lo spazio per i dissidenti, cioè per i sostenitori del no. O per quanti sono disposti a convertirsi al sì in cambio di una modifica alla legge elettorale della Camera, chiamata Italicum, per tornare dal premio di maggioranza alla lista al premio di maggioranza alla coalizione.
Ma da questo orecchio, almeno sinora, Renzi non vuole sentire. Egli preferisce giocare con lo slogan dell’”Italia del sì” contrapposta nelle urne referendarie all’”Italia del no”. Un sì e un no che non sarebbe poi limitato solo alla riforma costituzionale. Che merita comunque, secondo Renzi, l’aggettivo “bellissima”: variante della “Costituzione più bella del mondo” per tanti anni contrapposta dal suo partito a quanti volevano cambiarla, andandovi qualche volta molto vicino. Come accadde alla maggioranza di centrodestra nel 2005 con una riforma approvata dalle Camere ma bocciata a giugno del 2006 con un referendum che vide impegnato sul fronte del no, avvolto nella bandiera appunto della “Costituzione più bella del mondo”, dall’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Un fronte – va detto onestamente – al quale partecipò anche Renzi, allora presidente della provincia di Firenze. Sono stati in qualche modo dieci anni perduti.