Intervistato dall’emittente Libyàs Channel Khalifa Haftar, il comandante delle milizie della Cirenaica, la regione orientale della Libia, ha espresso opinioni negative sul governo unitario libico (Gna) che l’Onu ha costruito sotto la guida di Fayez Serraj, e che i poteri dell’est stanno cercando di sabotare.
IL “ME NE FREGO”
“Non m’importa nulla delle decisioni del Gna, le sue decisioni sono solo pezzi di carta”, dice il generale freelance ex uomo del regime, esiliato in America e poi tornato in Libia un paio d’anni fa per guidare le forze che rispondo all’ormai non più riconosciuto governo di Tobruk. “Noi abbiamo ottime relazioni con i vicini”, aggiunge, e il riferimento non può che non andare all’Egitto, sponsor esterno insieme agli Emirati Arabi (e Russia, Arabia Saudita e alcune linee usate lateralmente dalla diplomazia militare occidentale) delle volontà indipendentiste cirenaiche.
COMBATTERE I TERRORISTI E RICOSTRUIRE L’ESERCITO
“Con una mano combattiamo gli estremisti e con l’altra cerchiamo di ricostruire le forze armate”: Haftar guida la grande milizia orientale che si fa chiamare Lna, ossia Libya National Army, e che sta conducendo una campagna militare, sotto il nome Operazione Dignità, contro le forze islamisti libiche: tutte accomunate senza distinzioni, secondo una prassi operativa egiziana, che attualmente combatte alla stessa stregua lo Stato islamico nel Sinai (o a Sirte) e la Fratellanza Musulmana (al Cairo o a Derna); alla TV libica Haftar ha incolpato il movimento politico islamista di tutti gli attentati islamisti nel mondo.
IL PESO PROPAGANDISTICO
C’è molta propaganda nelle parole del generale, che cerca contemporaneamente di intestarsi la lotta allo Stato islamico, pallino globale e threat cruciale per tutte le cancellerie occidentali, e la ricostruzione di un esercito libico affidabile. Soltanto lunedì alcuni dei Paesi che si stanno occupando della crisi fornendo sostegno a Serraj, hanno dato l’ok ad uno sblocco parziale dell’embargo Onu sulle armi per inviare sostegno militare alla Guardia presidenziale, il nuovo corpo istituito pochi giorni fa dal Consiglio presidenziale: “Le armi significano distruzione fisica e morale”, dice.
SU SIRTE, DOPO BENGASI, PASSANDO DA DERNA (LINEA MILITARE E POLITICA)
“Stiamo vicini alla fine della battaglia di Bengasi, per questo ci stiamo dirigendo su Sirte”, così Haftar descrive l’attuale pianificazione da lui diretta, finora concentrata su Bengasi, liberata, pare con l’aiuto dei reparti speciali francesi, sia dall’IS che da fazioni islamiste libiche che controllavano aree distinte ed in contrasto della città (secondo il generale centinaia di navi sarebbero arrivare da ovest, da Misurata, per combatterlo e dare rinforzo agli islamisti). Da un paio di settimane l’obiettivo è Sirte, roccaforte locale dello Stato islamico, in una competizione scattata con le milizie tripoline, con il fine di accreditarsi l’eventuale vittoria e il ruolo di liberatori dai baghdadisti. “Una larga forza attende i miei ordini” e ricorda che oltre Sirte l’obiettivo è anche Derna, governata adesso da una coalizione di milizie islamiste (anche vicine all’ex governo tripolitano e alla Fratellanza musulmana) che mesi fa ha scacciato l’IS dalla città. È una programma militare, ma anche una linea politica programmatica.
IL POPULISMO IN LIBIA
“Non sono focalizzato in vuote ambizioni politiche” e aggiunge riferendosi a Serraj che “una dittatura civile è peggiore di una dittatura militare”: credo nella rivoluzione di febbraio, quella che ha cacciato il rais Gheddafi, e credo che i sostenitori di quella rivoluzione possono essere ascoltati, ma solo se hanno qualcosa da offrire, la democrazia non si può avere attraverso una miscela di milizie che cercano di imporre politicamente i propri poteri, e sembra quasi che Haftar abbia una lettura lucida, distaccata, se si dimenticasse che da est è lui stesso a seguire una linea analoga a quella della vecchie milizie tripolitane, che adesso hanno giurato fedeltà al governo Serraj. “Non può esserci una soluzione imposta dall’Onu, non ho interesse per questo governo e sulle sue decisioni”. E ancora: “Non ho tempo di incontrare Martin Kobler” a proposito del meeting rifiutato con il delegato Onu appena la scorsa settimana, “io combatto il terrorismo, non sono un politico” ha a cuore solo il destino dei libici. Il populismo dell’antipolitica, del fare, del governo a Tripoli calato dall’alto, del supportare la gente (locale) contro i poteri globali, arriva anche in Libia. E questa è una pessima notizia per l’Occidente, soprattutto per linee diplomatiche come quella italiana, ribadita anche lunedì dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che pensano ormai ad un’inclusione di Haftar nel futuro governo, a patto che il generale riconosca il ruolo di Serraj e del processo Onu.
INTANTO IN EGITTO E VERSO SIRTE
L’intervista va in scena mentre il futuro leader libico Serraj è al Cairo per incontrare sul terreno di casa Agila Saleh, specchio politico del generalissimo e capo dell’assemblea di Tobruk, il parlamento libico che secondo l’accordo siglato dall’Onu dovrebbe votare il sostegno politico al suo governo. E mentre le milizie di Misurata, fedeli a Tripoli, sembrano aver riguadagnato terreno verso Sirte, dopo che la scorsa settimana una attacco dei baghdadisti le aveva sorprese durante le fasi preparatorie dell’offensiva.