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Tutti i dossier dei ministri degli Esteri Nato a Bruxelles

Se il 7° allargamento della Nato con cui è stato incluso stavolta il Montenegro può sembrare un dettaglio, è analizzando le reazioni che se ne capisce il peso. I ministri degli Esteri dell’alleanza sono riuniti per un summit di due giorni presso la sede internazionale, a Bruxelles: i 28 membri hanno firmato il protocollo d’inclusione allo Stato balcanico, e probabilmente già dal vertice di Varsavia in programma a luglio Podgorica avrà un ruolo più operativo. (E pensare che l’ambasciatore americano Douglas Lute poche settimane fa assicurava che non ci sarebbe stata nessuna espansione ad est dell’Alleanza Atlantica: in effetti, l’adesione della Georgia, da tempo sul tavolo delle discussioni, non è prevista nemmeno a breve, ha dichiarato il ministro della Difesa georgiano Tinatin Khidasheli).

LA REAZIONE RUSSA

Dopo che l’intesa era stata raggiunta con Croazia e Albania, la geografia della strategia Nato è abbondantemente disegnata, espandersi verso oriente, questione che irrita non poco la Russia, in crisi da accerchiamento. Non potendo colpire l’intera alleanza, Mosca sceglie di concentrarsi sugli anelli deboli, e annuncia di rivedere le relazioni commerciali proprio con il Montenegro: e non è un colpo da poco, visto che Monstat, l’Ufficio statistico montenegrino, valuta che le esportazioni in Russia si aggirino intorno al 32 per cento del totale, con il 20 per cento dei turisti che sono russi, come circa il 40 per cento degli investimenti immobiliari. Senza Mosca Pogdorica soffre e soffrirà.

IL RAPPORTO CON LA RUSSIA: IL TEMA CENTRALE

Il tema del rapporto con la Russia è centrale nel summit di Bruxelles. Il capo della diplomazia italiana Paolo Gentiloni ha invitato per questo a coltivare la politica del “doppio binario”, ossia “associare ad una posizione ferma nei confronti della Russia anche una posizione di ricerca del dialogo” e perciò ha proposto che prima del vertice generale in programma l’8 e il 9 luglio in Polonia, si cerchi una data per un nuovo incontro del Consiglio Nato-Russia (l’ultimo, dopo due anni di silenzio legati alla crisi ucraina, c’è stato il 20 aprile di quest’anno). Ma Alexander Grushko, rappresentante russo alla Nato, ha detto che è soprattutto la “crescente retorica” sulla necessità di rafforzamento del fianco orientale che non sta creando “un ambiente adeguato per una discussione seria”. Da sommare al probabile prolungamento della sanzioni UE alla Russia per l’ancora non risolta crisi ucraina, evocato anche dall’Alto commissario agli Esteri Federica Mogherini, che potrebbe raffreddare ulteriormente la linea “ferma” di quel binario.

LA POSIZIONE ORIENTALE

Le posizioni più dialoganti di Gentiloni, o dell’ambasciatore inglese all’alleanza Adam Thomson, e di altre nazioni dell’Europa occidentale, si scontrano in effetti con quelle degli stati dell’Est, sulla linea del fronte russo: Linas Linkevicius, ministro degli esteri della Lituania, ha detto che il rischio è che la Russia utilizzi questi dialoghi come “cortina fumogena” per coprire i propri interessi. Intervistato sul Corriere della Sera, il ministro della Difesa polacco Antoni Macierewski (giunto in Italia per un incontro con la parigrado Roberta Pinotti) conferma questa dicotomia est-ovest interna all’Europa: “Sul fronte orientale della Nato occorre una presenza militare permanente, abbastanza forte da scoraggiare ogni intenzione di attacco da parte della Russia”. Una linea di guerra, e al giornalista Paolo Valentino che gli chiede se non fosse eccessivo tanto allarmismo aggiunge: “Solo i Paesi confinanti con la Russia si rendono conto della realtà. Gli altri sembrano non cogliere la gravità della situazione, che è simile a quella di prima dell’annessione della Crimea, quando la Nato non capì ciò che si stava preparando. Noi viviamo ogni giorno le provocazioni russe: le violazioni dello spazio aereo, l’aumento del dispositivo militare a Kròlewiec (il polacco per Kaliningrad, ndr ), lo spiegamento dei missili Iskander”. Per il ministro polacco il dialogo dovrà arrivare soltanto dopo che “avremo una sensazione di sicurezza che oggi ci manca”.

IL LIBRO INCENDIARIO

Benzina sul fuoco, libri come quello presentato in questi giorni scritto dall’ex vicecomandante supremo della Nato, il generale inglese Sir Alexander Richard Shirreff, che nel suo “2017 War With Russia” scrive che l’annessione della Crimea ha scombussolato gli schemi post Guerra Fredda aprendo la strada per un conflitto Nato-Russia. Scenario agghiacciante, quanto esposto a critiche di ogni genere: a marzo del prossimo per sfuggire dalla crisi di accerchiamento, Mosca decide di invadere la Lettonia (alè!).

LA LEVA DEI MIGRANTI

Macierewski, ministro di un governo che Bill Clinton ha da poco definito “in deriva autoritaria”, si augura che la forza di intervento rapido “Spearhead”, 5 mila uomini Nato (e mezzi) dispiegata nel 2014 tra i paesi dell’Alleanza confinanti con la Russia per far fronte a qualsiasi evenienza da est, possa essere addirittura incrementata: è questo per lui, e per gli stati limitrofi che pesano “la gravità della situazione”, l’obiettivo principale del vertice che sarà ospitato nella capitale polacca e di cui l’incontro di Bruxelles è l’ultimo step preparatorio. E usa una leva ormai (tristemente) nota, il ricatto dei migranti: mandiamo navi e aerei nell’Egeo per partecipare alla missione di sicurezza (contro terrorismo e criminalità) Active Endeavour, “in Polonia ci sono già un milione di rifugiati dall’Ucraina, fuggiti dalla guerra, e noi non chiediamo di trasferirli in Italia” dice. Macierewski sa che l’altro grande tema dell’incontro di questi giorni (più del quel che fare in Siria, più della possibilità di inviare aerei a supporto della Coalizione anti-Isis in Iraq o in Libia) è la possibilità, richiesta da Italia e Spagna e su cui gli Stati Uniti hanno mostrato aperture, di allargare la missione Nato al Mediterraneo meridionale, per controllare e contenere la prossima crisi migratoria dalla Libia e dare sostegno alla missione europea “Sophia”. Un atteggiamento, quello del polacco, molto simile a quello tenuto dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, entrambi usano infatti la crisi dell’immigrazione, fianco scoperto dell’Europa occidentale, per perseguire gli interessi dei propri paesi.

(Foto: Flickr-Nato)


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