Sono passati quasi quarant’anni da quando, sulle colonne di Mondoperaio, si aprì il dibattito sulla riforma della Costituzione. Allora la nostra era una vox clamantis in deserto, anche se già da allora era evidente la necessità di correggere la deriva assembleare in cui era caduto il nostro parlamentarismo.
Fra di noi non mancò chi, sulla scia di quanto sostenuto alla Costituente da Piero Calamandrei, propose addirittura di mutare radicalmente la forma di governo in senso presidenzialista. Ma tutti comunque convenimmo sull’opportunità di rafforzare l’esecutivo e di semplificare il procedimento legislativo, anche sull’esempio di altre democrazie europee che pure avevano adottato la forma di governo parlamentare.
Poi le vicende dei primi anni ‘90 fecero sì che si operasse una cesura nella continuità del sistema politico con una semplice riforma elettorale, prescindendo dalla pur necessaria revisione della Costituzione: ed avere preferito regolare diversamente dal passato i rapporti di forza senza provvedere a regolare di conseguenza i rapporti fra le forze è fra le cause non ultime della crisi politica che stiamo vivendo.
A sanare questo vizio d’origine del nuovo sistema politico, del resto, non sono serviti neanche i velleitari tentativi di mutare la forma di Stato in senso federalista: ed è anzi fra i meriti della riforma che verrà sottoposta a referendum avere corretto le incongruenze che di quei tentativi sono state il frutto. Senza dire che portare nella legislazione nazionale il punto di vista delle Regioni varrà a superare conflitti di competenze che attualmente si affollano davanti alla Corte costituzionale, quando non sfociano addirittura, come è avvenuto di recente, nella convocazione di referendum popolari.
Quanto ai rapporti fra governo e Parlamento, non si può ignorare che oggi, benché il governo non sia così forte come in altri paesi, il Parlamento è sempre più debole: mentre è presumibile che regolando con maggiore chiarezza gli equilibri fra le due istituzioni entrambe si rafforzino, e che il superamento del bicameralismo paritario valga addirittura a spuntare l’arma della questione di fiducia, con la quale sempre più spesso i governi hanno ricattato le due Camere, e che ora nei confronti di una delle due non potrà essere usata, a fronte di obiezioni di merito fondate e sostenute da adeguato consenso.
Non ci sfugge, peraltro, che il testo che verrà sottoposto al giudizio degli elettori non risolve tutti i problemi, e presume anzi ulteriori interventi di adeguamento dell’edificio costituzionale. Ed è auspicabile che essi prendano corpo in un contesto meno condizionato da opportunismi politici di cortissimo respiro come quelli che hanno caratterizzato negativamente l’iter parlamentare della legge di revisione.
E’ anche per sanzionare lo sfrenato politicismo del variegato ed incoerente fronte degli oppositori, del resto, che invitiamo gli elettori a votare Sì. Ma è soprattutto perché con questa riforma giunge ad un primo approdo un processo che avviammo noi stessi quasi quarant’anni fa.
Luigi Covatta, Gennaro Acquaviva, Salvo Andò, Mario Artali, Antonio Badini, Valentino Baldacci, Luciano Benadusi, Achille Bonito Oliva, Domenico Cacopardo, Luigi Capogrossi, Mario Chiti, Zeffiro Ciuffoletti, Dino Cofrancesco, Simona Colarizi, Giovanni Cominelli, Edoardo Crisafulli, Camillo De Berardinis, Mauro Del Bue, Danilo Di Matteo, Fabio Fabbri, Ugo Finetti, Aldo Forbice, Elisa Gambardella, Vito Gamberale, Marco Gervasoni, Giulia Giuliani, Marino Lizza, Nicla Loiudice, Matteo Lo Presti, Gianpiero Magnani, Giuseppe Mammarella, Michele Marchi, Pio Marconi, Antonella Marsala, Andrea Millefiorini, Matteo Monaco, Raffaele Morese, Ugo Nespolo, Corrado Ocone, Piero Pagnotta, Giuliano Pennisi, Giuliano Parodi, Luciano Pero, Carmine Pinto, Pino Pisauro, Marco Plutino, Paolo Pombeni, Gian Primo Quagliano, Mario Raffaelli, Gianrico Ranaldi, Stefano Rolando, Elisa Sassoli, Eugenio Somaini, Celestino Spada, Tiziano Treu, Bruno Zanardi.