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Sostegno al terrorismo e retorica anti occidentale, questo è (ancora) l’Iran post deal

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L’Iran non collaborerà mai con gli Stati Uniti, “il Grande Satana”, ha detto la Guida suprema Ali Khamenei oggi, 3 giugno, durante un discorso, ripreso da tutte le tv di stato, per commemorare l’anniversario della morte del fondatore della Rivoluzione, l’Ayatollah Ruhollah Khomeini.

IL REPORT DEL DIPARTIMENTO DI STATO

Una retorica anti occidentale continua. Giovedì a Washington è stato pubblicato lo State Department’s annual survey of worldwide terrorism rapporto annuale, in cui si definisce l’Iran il principale dei paesi che finanziano il terrorismo nel mondo: “È rimasto il più importante stato sponsor del terrorismo [pure] nel 2015, fornendo una gamma di sostegno, anche finanziario, formazione e attrezzature, a gruppi in tutto il mondo”. Hezbollah, Hamas, le tante milizie sciite irachene, siriane, afghane, colpevoli di innumerevoli attentati anni fa, che adesso nella pragmatica della guerra al Califfato sono state riqualificate a “quasi-alleate”: è lunga la lista dei clienti di Teheran. Armi asimmetriche, proxy che la Repubblica islamica usa per diffondere la propria influenza nella regione mediorientale, in una lotta senza scrupoli contro l’opposizione ideologica e geopolitica dell’Arabia Saudita, il regno dei sunniti, nemici esistenziali. Ma l’Iran non è solo una sponda per i gruppi armati sciiti: ne è dimostrazione la storia dell’uccisione del leader dei talebani afghani, il mullah Mansour, colpito in taxi mentre tornava da una visita alla sua famiglia, messa al sicuro proprio in Iran. Il capo di uno dei gruppi integralisti più pericolosi del mondo si è mosso in modo indisturbato, sfruttando un passaporto pakistano per entrare e uscire dalla repubblica degli ayatollah, che nonostante le distanze ideologiche con le fazioni jihadiste sunnite in più di un’occasione ha fornito riparo ai loro leader (è successo anche con al Qaeda) in cambio di non belligeranza e supporto logistico, sfruttandone le azioni per colpire il nemico comune, l’Occidente – con cui Teheran firma accordi politici, economici, commerciali, e con cui condivide adesso i tavoli negoziali su vicende globali come la crisi siriana.

IL PARLAMENTO NON CAMBIA

Lunedì 30 maggio Ali Larijani è stato rieletto a stragrande maggioranza presidente del parlamento iraniano. Larijani, cinquantasettenne ormai anagraficamente ex rampollo di una potente famiglia di Najaf, già comandante dei Pasdaran e poi segretario del Supremo consiglio di sicurezza nazionale sotto il pugno duro di Mahmoud Ahmadinejad (gli anni della retorica atomica e delle sanzioni, in cui Larijani occupò anche il ruolo di capo negoziatore mentre il dialogo falliva volta su volta), è in carica come chairman parlamentare dal 2008: con il rinnovo della nomina ha tagliato fuori le mire riformiste (le posizioni rappresentate in summa dal presidente Hassan Rouhani), che dopo i buoni risultati elettorali di febbraio avevano puntato alla poltrona come riconoscimento politico. Magra consolazione, l’elezioni a vice-presidente del parlamento di Ali Motahhari, riformista spesso critico con il regime, al quale andranno poteri formali.

IL CAPO DEGLI ESPERTI

Larijani non è un conservatore dei più rigidi, per esempio ha gestito in modo elastico l’approvazione da parte della camera del deal nucleare chiuso il luglio scorso: la sua vittoria era attesa, anche perché l’unico sfidante, il riformista Mohammad Reza Aref, si è ritirato, inerme, dalla corsa il giorno stesso del voto. Il 24 maggio anche il Consiglio degli Esperti, l’organo politico teocratico che ha il potere di eleggere la nuova Guida suprema, ha votato il suo presidente: è l’ayatollah Ahmad Jannati, ottantanove anni, considerato uno degli hard-liner più vicini a Khamenei. Dirige già il Consiglio dei Guardiani, che tra le varie funzioni ha quella di vagliare i candidati alle elezioni parlamentari: risultato delle verifiche alle ultime elezioni, oltre tremila candidati di area riformista sono stati dichiarati non eleggibili e fatti fuori dalla tornata elettorale. Nell’occasione di quelle votazioni gli iraniani furono chiamati a decidere anche i rappresentanti del Consiglio degli Esperti, e Jannati riuscì a vincere soltanto l’ultimo dei seggi disponibili tra quelli di Teheran. Nonostante il suo nome non avesse incontrato il grosso del consenso degli elettori, e pare che dietro la sua elezione ci siano stati brogli per farlo rientrare, l’assemblea ha deciso lo stesso di eleggerlo come presidente.

IL FALCO DEI FALCHI

“Comprendere le dinamiche interne al palazzo iraniano è lavoro complicato e carico di pregiudizi — scrive Paola Peduzzi sul Foglio — ma l’ayatollah Jannati semplifica parecchio il lavoro. Il Wall Street Journal ha messo in fila qualche frase celebre del nuovo leader del Consiglio degli Esperti, che deciderà il successore della Guida suprema Ali Khamenei: Jannati dice che gli americani sono “i più grandi sponsor del terrorismo internazionale”, che gli ebrei “hanno sembianze umane ma in realtà hanno i modi dei maiali e dei predatori”, che “la caduta di Israele è vicina”. Sugli oppositori del regime, Jannati ha detto che “non c’è spazio alcuno per la misericordia”, e infatti era a capo di quel Consiglio dei guardiani che legittimò i brogli delle elezioni del 2009 e la repressione di piazza. Il “falco dei falchi”, come lo chiamano in molti, ha ottenuto il 57 per cento dei consensi degli Esperti – tra i quali ci sono anche il presidente Rohani e l’ex presidente Hassan Rafsanjani, che oggi viene annoverato tra i cosiddetti riformisti, relativamente parlando s’intende – ma la sorpresa è stata tutta e soltanto internazionale”.

A TEHERAN LA LINEA CONSERVATRICE ANCORA REGGE

Più passa il tempo e più Teheran resta quel che era, nonostante i riformisti a febbraio abbiano riportato un buon risultato elettore, e sebbene Barack Obama con il deal sul nucleare ne abbia sancito la riqualificazione diplomatica globale. Le due elezioni nell’arco di una settimana sono anche un avviso per una parte della più disattenta stampa internazionale, che ha celebrato la riqualificazione iraniana su un’onda emotiva dimenticando, per esempio, che visto le precarie condizioni di salute di Khamenei (e la sua anziana età) sarà proprio questo Consiglio degli esperti a eleggere il suo successore, ossia sarà il Consiglio diretto dal “falco dei falchi” a nominare la prossima Guida suprema del sistema statale teocratico iraniano.  Il potere teocratico è reazionario, conservatore, fortemente ideologizzato sulla linea anti-occidentale, e ancora molto influente, nonostante molti imprenditori tengano d’occhio l’Iran con interesse. Risultati: l’Iran sposta sempre più la livella ideologica della guerra siriana, i suoi soldati e le milizie che muove sono il forte dell’esercito di Damasco, adesso più che mai, anche a causa del distacco di Mosca da questa linea integralista; proseguono i test missilistici (proprio il presidente Larijani si fece riprendere in visita a una base segreta sotterranea mesi fa) e la corsa agli armamenti, in questo caso anche con la sponda russa, che nella pragmatica del mercato dimentica il distacco che vuol far segnare in Siria e spedisce in Iran i potenti sistemi antiaerei S300; le vie commerciali che le sanzioni dovevano riaprire, facendo anche da snodo per un passaggio mercato/società, in realtà soffrono, perché chi fa impresa fatica a fidarsi e le banche non danno garanzie sugli ayatollah (argomento su cui è tornata oggi la retorica della Guida suprema: gli Stati Uniti stanno facendo i “bulli” e cercano di tagliare fuori il nostro paese dalle banche).

 

(Foto: Wikicommons, la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei)

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