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Perché Silvio Berlusconi sbaglia a non preferire Roberto Giachetti a Virginia Raggi

Chi si aspettava da Silvio Berlusconi una decisione fra il renziano Roberto Giachetti e la grillina Virginia Raggi per il ballottaggio del 19 giugno sul Campidoglio, non ha dovuto aspettare giorni. Sono bastate poche ore all’ex presidente del Consiglio per decidere. Ma, per quanto possa valere la mia personale opinione, temo che abbia solo deciso di non decidere con quell’annuncio che tornerà alle urne romane, da ex elettore milanese, per votare scheda bianca, non considerando nessuno dei due candidati idonei alla carica di sindaco della Capitale d’Italia. E con quell’invito agli elettori del suo partito, scesi nel frattempo a Roma del 26,3 per cento delle elezioni politiche di tre anni fa ad un assai modesto e avvilente 4,2 per cento, a votare pure loro sia per dissentire dall’assenteismo diffuso, ch’egli considera la causa maggiore della crisi di quello che fu il suo centrodestra, sia per condividere – si deve presumere – con la scheda bianca il giudizio negativo su entrambi i protagonisti del ballottaggio capitolino.

Del ballottaggio romano, a dispetto dei tanti osservatori convinti della centralità di quello milanese fra il renziano Giuseppe Sala e un berlusconiano, Stefano Parisi, sostenuto anche dai leghisti e dalle altre componenti del vecchio centrodestra, continuo a ritenere – sempre per quel che vale la mia personalissima opinione – che sia il passaggio più importante e politicamente emblematico anche del secondo turno di queste elezioni amministrative del 2016. E degli effetti che potranno derivarne sul referendum costituzionale d’autunno e poi sull’evoluzione degli equilibri politici nazionali. Evoluzione, volendo essere ottimisti, perché potrebbe anche rivelarsi un’involuzione verso la ingovernabilità e il caos.

Le decisioni tardive sono generalmente dannose o quanto meno sfortunate, come si è rivelata – per esempio – la conversione troppo tardi, appunto, sulla candidatura di Alfio Marchini, dopo una lunghissima incertezza di fronte ai “capricci” di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, per ripetere un termine usato dallo stesso Berlusconi. Ma anche le decisioni troppo rapide possono rivelarsi infelici perché la gatta frettolosa, si sa, fa i gattini ciechi. Ed io sono rimasto talmente interdetto, di fronte all’annuncio della scheda, o della bandiera bianca, da non crederci, dal rinunciare alla tentazione di aggiornare il mio commento immediato ai risultati elettorali del primo turno romano, e di attendere non dico una smentita, ma qualche chiarimento o precisazione.

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Le perplessità di fronte alla decisione di Berlusconi, a parte il solito, immediato allineamento dell’altrettanto solito Maurizio Gasparri, uno degli ex “colonnelli” di Gianfranco Fini rimasti accanto all’allora presidente del Consiglio al momento della rottura fra i due, mi sembrano diffuse fra le stesse persone di cui lo stesso Berlusconi ha mostrato di fidarsi lanciandone o sostenendone la candidatura a sindaco di Roma: prima Guido Bertolaso e poi Alfio Marchini. Che, una volta conosciuti i risultati del primo turno, non hanno avuto dubbi nel ritenere che la posta politica in gioco sia troppo alta per restare neutrali, annunciando quindi la loro preferenza per Giachetti.

Un successo del Movimento 5 Stelle nella Capitale d’Italia potrebbe rivelarsi, come ha sostenuto di recente Vittorio Feltri tornando dal Giornale della famiglia Berlusconi a Libero Quotidiano della famiglia Angelucci, la premessa del fallimento dei grillini, saliti troppo in alto per reggere la prova, ma potrebbe anche produrre chissà quali effetti emulativi prima che il fallimento di un sindaco pentastellato in Campidoglio prenda corpo ed esploda. Qui si gioca col fuoco, visto peraltro ciò che è accaduto anche a Torino, dove i grillini hanno sorpassato il Pd e costretto al ballottaggio il sindaco uscente Piero Fassino, che non è certamente l’ultimo politico sul campo.

Si è detto e scritto che in fondo sono soltanto una ventina, su più di 1300 in cui si è votato, i Comuni dove i candidati di Grillo sono riusciti ad arrivare al ballottaggio. Ma si è dimenticato e si dimentica di osservare che sono stati solo 250, più o meno, sempre su più di 1300, i Comuni in cui il movimento grillino ha voluto misurarsi con gli altri partiti.

Ora, rimanere neutrali di fronte al ballottaggio capitolino, dopo avere detto e ridetto, come ha fatto Berlusconi, che i grillini costituiscono, forse senza neppure rendersi conto, un fenomeno politico pre-nazista, o nazista tout court, mi sembra francamente un azzardo, a dir poco.

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Sempre per quel che conta una mia personalissima opinione, l’errore di Berlusconi non sarebbe meno grave, sarebbe anzi ancora più grave, se fosse nato dalla volontà di non perdere tutti i contatti, o dalla speranza di riallacciare quelli perduti, con la Lega. Il cui appoggio a Parisi è certamente decisivo per la partita ancora aperta a Milano, ma il cui segretario Matteo Salvini è tornato a dire che a Roma, per quanto poco conti il suo partito all’ombra del Cupolone, voterebbe la grillina Virginia Raggi piuttosto che aiutare Renzi, attraverso il candidato Giachetti, a impedirle la vittoria.

Ma Salvini, dall’alto di un “successo” elettorale più vantato che reale per il suo partito, doppiato – per esempio- a Milano da una Forza Italia pur in crisi ovunque, ha detto ancora di più a proposito del movimento grillino. Egli ha dichiarato, testualmente, di averne “rispetto”, d’altronde espresso anche in una nota di Forza Italia, per il suo carattere “anti-sistema” e “anti-cricca europea”. E’ lo stesso Salvini, infine, che ha praticamente sfidato Berlusconi ad “un’assemblea” dopo i ballottaggi comunali del 19 giugno per organizzare “una nuova coalizione contro Renzi”, senza neppure chiamarla centrodestra. Una coalizione alla quale per identificarsi politicamente dovrebbe quindi bastare e avanzare la pregiudiziale opposizione all’attuale presidente del Consiglio, in sintonia con quelli che lo contrastano da sinistra, dentro e fuori il Pd.

Di fronte a simili idee e proposte, condivise dalla sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, gli amici del Foglio si sono accontentati del bicchiere mezzo pieno, o mezzo vuoto, di Berlusconi costituito dalla rinuncia a indicare pure lui una preferenza per la candidata grillina al Campidoglio. Ma a me il bicchiere sembra, francamente, tutto o almeno per i tre quarti vuoto. Vuoto di prospettive per i moderati di quello che fu il centrodestra. Eppure Renzi, commentando i risultati elettorali, aveva appena steso una mano a Berlusconi riconoscendogli che “ancora c’è”.

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