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Ecco come Israele si è diviso tra l’inizio del Ramadan e il Jerusalem Day

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha precisato che non ha intenzione di cedere porzioni di territorio della città di Gerusalemme alla controparte palestinese. Alle parole del leader del Likud hanno fatto eco quelle dell’Israel Allies Caucus, gruppo che supporta l’idea di una Gerusalemme, capitale unica e indivisibile di Israele. Il presidente Reuven Rivlin, invece, ha sottolineato la necessità di tenere unite le diverse frange di cui si compone il popolo israeliano, a partire dall’organizzazione di buon sistema educativo che muova in questa direzione.

Ecco i tre aspetti principali che sono emersi dalla giornata di domenica scorsa, in cui Israele ha celebrato il Jerusalem Day e l’inizio del Ramadan.

Mentre i fedeli musulmani sono entrati nel mese sacro di Ramadan, durante il quale è previsto che i devoti si astengono da cibo, bevande e ogni altro piacere corporale dall’alba al tramonto, il popolo ebraico di Israele ha affollato le strade di Gerusalemme per celebrare il Jerusalem Day. La festività ricorda la conquista di Gerusalemme Est, zona della città a maggioranza palestinese, da parte dell’esercito Israeliano, durante la guerra dei sei giorni.

GERUSALEMME, PRIMA E DOPO LA GUERRA DEI SEI GIORNI 

La guerra dei sei giorni, combattuta a cavallo tra il 5 e l’11 giugno del 1967, vide l’esercito israeliano contrapporsi alla coalizione formata da Egitto, Siria e Giordania. Conseguita la vittoria, Israele annesse il Sinai, la striscia di Gaza, le alture del Golan, la Cisgiordania e la zona est di Gerusalemme.

La guerra dei sei giorni contribuì a modificare lo stato delle cose così come stabilito dalla commissione speciale, nominata dalle Nazioni Unite, per stabilire il futuro della Palestina (Unscop). Questa decretò la divisione della Palestina in 2 Stati e la creazione, a Gerusalemme, di una zona sotto controllo internazionale. L’annessione e la conseguente occupazione di Gerusalemme Est, da parte dello Stato ebraico, non è mai stata riconosciuta dalla Comunità internazionale.

IL DISCORSO DI NETANYAHU

Durante la giornata di festeggiamenti, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha giurato che la soluzione dei due Stati non comporterà la divisione di Gerusalemme. “L’idea di una città divisa non è quella a cui abbiamo intenzione di ritornare. Non abbandoneremo mai il Muro del pianto e mai recideremo il nostro legame con la Spianata delle Moschee”, ha detto Netanyahu come riporta il Jerusalem Post

“Noi non saremo cacciati dalle nostre città o dalla nostra terra. Io non caccerò le persone dalle loro case e noi non saremo cacciati dalle nostre”, ha affermato il primo ministro, parlando dalla Mercaz Harav yeshiva, uno tra i più noti istituti ebraici dedicati allo studio dei testi religiosi tradizionali.

Netanyahu ha anche sottolineato come il controllo esercitato dallo Stato ebraico abbia reso Gerusalemme una città sicura per ebrei, cristiani e musulmani e ha, poi, precisato che l’unico modo per raggiungere la pace con i vicini palestinesi è ricorrere a un dialogo diretto, senza intromissioni esterne. Il riferimento del primo ministro è a quelle “entità che hanno abbandonato lo Stato ebraico mentre combatteva per affermare la sua esistenza contro l’esercito arabo. Tali entità non hanno portato la pace allora e non la porteranno oggi”, ha proseguito Netanyahu.

LE PAROLE DEL PRESIDENTE RIVLIN

Anche il presidente Reuven Rivlin è intervenuto durante la cerimonia tenutasi in occasione del Jerusalem Day. Definita la necessità di tenere unite tutte le frange di cui si compone la popolazione una vera “missione nazionale”, il presidente ha criticato il sistema educativo israeliano, perché incapace di tener uniti i giovani arabi e israeliani. Questo, secondo Rivlin, ha contribuito a creare “una situazione in cui i giovani ebrei guardano a Gerusalemme come a una città solo ebraica, mentre i giovani arabi la vedono come esclusivamente araba”, riporta il Jerusalem Post.

LA LETTERA DELL’ISRAEL ALLIES CAUCUS

Sebbene il Jerusalem Day sia una festività tutta israeliana, il supporto proveniente dall’esterno non è mancato. Sabato, il presidente della Knesset Yuli Eldestein ha ricevuto un’e-mail inviata dall’Israel Allies Caucus – un insieme di membri della Camera dei Rappresentanti del Congresso americano riuniti per sostenere Israele – in occasione della festività.

“Dalle nostri capitali alla vostra, noi, membri e sostenitori dell’Israel Allies Caucus […] ci congratuliamo con tutti gli abitanti di Gerusalemme, il popolo ebraico e la nazione di Israele, nel 49esimo anniversario della riunificazione di Gerusalemme, capitale unica e indivisibile di Israele”, recita la lettera, come scrive il Jerusalem Post.

Il responsabile della comunicazione dell’Israel Allies Caucus, Jordam McMillan, ha precisato che la lettere è stata inviata, non a casa, “a seguito delle recenti pressioni internazionali esercitate su Israele, affinché questo ceda alcune porzioni di territorio di Gerusalemme”, riporta il Jerusalem Post.

L’APPELLO ALLA CORTE SUPREMA

Domenica, circa 30 mila persone hanno preso parte alla marcia che ha attraversato Gerusalemme. L’inizio della manifestazione era previsto per le cinque e un quarto del pomeriggio, ora locale, e per garantire misure di sicurezza adeguate, più di 2000 forze di polizia sono state schierate. La marcia, infatti, ha attraversato anche il quartiere musulmano della città vecchia di Gerusalemme, prima di arrivare al Muro del Pianto, che si trova immediatamente sotto la contesa Spianata della Moschee.

Timorosa che la marcia potesse originare alcuni disordini, l’Organizzazione no profit Ir Amim “aveva chiesto alla Corte Suprema di vietare al corteo di entrare nella parte vecchia di Gerusalemme tramite la Porta di Damasco, poiché di solito utilizzata dai palestinesi per accedere alla città”, riporta il quotidiano libanese The Daily Star. “La Corte, pur avendo rigettato la richiesta, ha imposto al corte di completare il passaggio attraverso la Porta di Damasco per le sei e un quarto del pomeriggio e di uscire dal quartiere musulmano entro le sette”, scrive Al-Jazeera. Le restrizioni in materia di orario sono state imposte per via dell’inizio del Ramadan.

Itay Mack, l’attivista che ha presentato la richiesta alla Corte, ha commentato la decisione del giudice come “estremamente irragionevole”, riporta il quotidiano Iran Daily. Oltre a Itay Mack, anche Yousef Jabareen, membro della Knesset israeliana, ha denunciato il responso della Corte definendo la marcia”“provocatoria, razzista e violenta”, prosegue il quotidiano iraniano.



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