Chiedo al titolare della Hostaria da Nerone (dove ceno di solito quando mi trovo a Roma) come andrà il ballottaggio. “Vince Giachetti”, mi risponde. “I romani il Pd lo conoscono. Questi altri (i grillini, si intende, ndr) chi sono? Hanno preso dei voti nelle periferie perché gli hanno promesso tanti soldi senza lavorare (è liquidata così – ndr – la proposta del reddito di cittadinanza), ma non glieli daranno mai perché di soldi non ci stanno”.
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A Torino voterei per Piero Fassino, che conosco e stimo. Non posso fare a meno di ricordare, però, che quando io ero nella segreteria nazionale della FIOM, Fassino era un funzionario del Pci della storica V Lega Fiat, quella cruciale, per quei tempi, di Mirafiori. Il fatto è che, da allora, sono trascorsi quasi 50 anni e quel mondo, mio e suo, non c’è più. E’ giusto sopravvivere, politicamente, tanto a lungo a quel mondo scomparso ed è stato opportuno mettersi in competizione con una candidata (come Chiara Appendino) che potrebbe essere, per età, sua figlia?
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Consiglio non richiesto a Matteo Salvini: chi si rivolge alla pancia degli elettori alla fine raccoglie soltanto i loro peti.
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Renato Brunetta ha voluto paragonare i risultati di queste elezioni (per come immagina andranno i ballottaggi) a quelli delle regionali del 2000, quando Massimo D’Alema si dimise per la sconfitta subita. Così – ad avviso del presidente dei deputati di Fi – dovrà fare anche Renzi. Brunetta si è dimenticato degli esiti del voto amministrativo del 2011, quando il centro destra perse in tutte le grandi città in cui si è votato adesso. Allora, anche il Cavaliere sostenne che si trattava di un voto locale. Quanto al Governo, Berlusconi scaricò la responsabilità della sconfitta sul ministro Giulio Tremonti e sulla politica del rigore. Fu l’inizio della fine, perché venne esautorata la persona che garantiva l’Italia sui mercati internazionali e a livello Ue.
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Argo libero!