Se c’è una premessa che è emersa dal primo turno delle elezioni amministrative è il carattere tripolare del risultato politico. Se c’è invece una conclusione politicamente ineluttabile è l’inesorabile futuro bipolare.
Questa apparente contraddizione è comprovata dai fatti. Gli elettori, infatti, hanno distribuito i loro voti su PD, M5S e centrodestra, ma i ballottaggi e anche l’Italicum costringono necessariamente ad unire le forze per vincere.
Probabilmente è questo ragionamento che ha spinto Matteo Salvini, già prima delle elezioni di domenica scorsa, a dare indicazione di voto a favore di Virginia Raggi e Chiara Appendino rispettivamente per Roma e Torino. In un’intervista a Repubblica il leader del Carroccio ha spiegato le sue intenzioni: ”Una convergenza che sta in un obiettivo comune, nulla di concordato. Più che un’alleanza è la possibilità di cambiare”.
D’altronde, a ben vedere, i temi e i tempi ci sono. L’attuale asse di governo si regge su Matteo Renzi e il Pd, con il quale si è alleata l’area popolare. Oltre a sostenere Roberto Giachetti e Piero Fassino, la maggioranza ha in cantiere il referendum sulle riforme istituzionali, obiettivo storico per il presidente del Consiglio.
Oltretutto gli elettori italiani, e non solo, hanno ampiamente dimostrato di non amare la mezze misure e le posizioni sfumate. Un’eventuale tripolarismo prevederebbe infatti una legge elettorale pluralista o un pluralismo di opinioni, ipotesi entrambe assenti e ingiustificate.
In realtà la vera forbice oggi, non soltanto in Italia ma in Europa, è tra due visioni ideali del mondo, e non tre: la prima favorevole alla tradizione social-popolare di governance in materia di riforme, economia e immigrazione, e l’altra opposta e contraria a questa finalità.
Nel caso del nostro Paese è ovvio che restano in campo le divergenze profonde tra il M5S e la Lega. Non soltanto per quanto attiene al reddito di cittadinanza ma anche sulle questioni in materia di gestione dei flussi migratori. Tuttavia il netto ostracismo sia all’europeismo sia soprattutto a Renzi costituiscono uno spazio elettorale condiviso che emergerà come saldatura in occasione del no al referendum.
Dal punto di vista politologico Lega e M5S sono coaguli politici profondamente diversi che si richiamano nondimeno a due modi di declinare in senso anti progressista la democrazia. I grillini optano per un’interpretazione “volontarista” della sovranità popolare e i leghisti per un’interpretazione “sostanzialista”. Ma in entrambi i casi, sia che si prediliga cioè una diretta partecipazione democratica sul web, sia che invece si cerchi di far risaltare un senso comunitario della nazione, si è davanti ad un’alternativa politica al metodo di riforme e al progetto di Italia incarnati oggi da Matteo Renzi.
Se, in definitiva, il dato di partenza è dunque poggiato su tre poli elettorali, il destino post berlusconiano del centrodestra tradizionale sarà sicuramente sostituito da un coacervo di forze radicali, populiste e anti progressiste che avranno come obiettivo prioritario battere Renzi e il Pd.
L’alleanza, insomma, tra Lega e M5S, che funzioni o meno, non è soltanto una tattica per vincere i ballottaggi, ma una prospettiva inesorabile con cui il centrosinistra dovrà fare i conti in un rinnovato futuro bipolare della politica italiana.