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Veneto Banca, ecco le parole di Carrus che fanno penare Penati

È ufficialmente partito l’8 giugno l’aumento di capitale da 1 miliardo di Veneto Banca collegato al progetto di quotazione alla Borsa di Milano. E proprio nel giorno in cui l’operazione ha preso il via, il management dell’istituto di Montebelluna ha incontrato i giornalisti in una conferenza stampa a Milano.

LE PAROLE DI CARRUS

Per capire meglio alcuni passaggi e retroscena della ricapitalizzazione, che è indispensabile per riportare in sicurezza i conti della banca pena il salvataggio attraverso lo strumento del bail-in, occorre soffermarsi su alcune dichiarazioni del direttore generale Cristiano Carrus (nella foto). Il rischio dell’operazione di aumento di capitale di Veneto Banca, finalizzato all’Ipo, ha detto il dg, è “massimo e come tale va trattato”, anche se “resta il sacrosanto il diritto che chi tra i soci voglia sottoscrivere l’aumento lo possa fare, è un suo diritto come prevede il codice civile”. In altri termini, Carrus, nel presentare l’operazione di aumento di capitale, mette in guardia i vecchi soci che se sottoscrivono le nuove azioni rischiano grosso. Parole che non sembrano invogliare troppo gli attuali azionisti a fare la loro parte, contrariamente a quanto normalmente ci si potrebbe aspettare da una banca che sta chiedendo soldi al mercato.

COSA C’È DIETRO

Ma qual è il motivo di queste apparentemente strane dichiarazioni? Semplice: il fondo di sistema Atlante, gestito dalla Quaestio sgr guidata da Alessandro Penati, ha sottoscritto un contratto di pregaranzia sull’aumento ponendo come condizione quella di arrivare, alla fine dell’operazione, ad avere in mano almeno il 51% dell’istituto di credito, così da potere comandare. Questo significa che la rete di salvataggio scatterà soltanto se gli attuali soci post ricapitalizzazione non arriveranno sopra il 50% del capitale. Da qui le ulteriori dichiarazioni di Carrus: “Il contratto è chiaro: Atlante entra solo se avrà la maggioranza post aumento”, mentre il consorzio delle banche capitanato da Intesa Sanpaolo, ha precisato il dg, “non ha più un ruolo di garanzia ma solo di aiuto al collocamento delle azioni”. Quindi, nel caso di mancata sottoscrizione al 100% dell’aumento, o entra Atlante o niente. Ma il fondo guidato da Penati chiede di avere in mano il 51% e affinché questo possa succedere i soci attuali, ammesso e non concesso che vogliano farlo, dovranno sottoscrivere meno del 50% dei nuovi titoli. “Dunque – si legge oggi sul Gazzettino – se gli 88mila vecchi soci sottoscrivessero più di mezzo miliardo dell’aumento scattato ieri tra 0,1 e 0,5 euro per azione, Veneto Banca rischierebbe ancora grosso. E’ il paradosso del contratto di garanzia del fondo Atlante e di un’operazione che si muove tra l’incudine di un territorio scosso dall’azzeramento delle vecchie azioni (il prezzo negli ultimi anni ha superato i 40 euro) e da 4,5 miliardi vaporizzati, e il martello di un mercato che non fa sconti, anzi”.

COSA PENSA PENATI

Insomma, sembra di capire che Carrus faccia il tifo per una discesa in campo del fondo Atlante, cosa tra l’altro già accaduta con la Popolare di Vicenza, di cui possiede quasi l’intero capitale. Una eventualità già prospettata dall’amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina, che qualche giorno fa ha detto: “La verità è che i soci non raggiungeranno il 51%. E quindi Atlante interverrà in questa operazione e acquisirà il controllo di Veneto Banca”. Eppure, Penati sperava di non dovere aprire il paracadute di Atlante anche questa volta. La missione del fondo, aveva detto il gestore di Quaestio nei giorni scorsi, è sviluppare un mercato “che non esiste in Italia” più che salvare le sorti del sistema bancario. Infatti, aveva aggiunto senza tanti giri di parole, “speriamo di non dover intervenire” in Veneto Banca. Ma difficilmente sarà così. Le pene di Penati – oltre ai latenti attriti con i soci del fondo  -non sono ancora terminate.


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