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Che cosa ha scoperto l’Eni in Egitto

Claudio Descalzi

L’Eni ha fatto un’altra scoperta in Egitto: le dimensioni del giacimento di gas naturale Baltim, che si trova circa dodici chilometri a largo del delta del Nilo, sono molto buone, secondo gli esperti. Il pozzo SW1 è stato perforato per 3750 metri penetrando almeno 62 metri di un pacco arenaceo gassifero, un reservoir di “eccellente” qualità. La scoperta è definita dal comunicato dell’Eni “significativa” e il gruppo guidato dall’ad, Claudio Descalzi, sottolinea che si tratta di una conferma ulteriore sul potenziale della cosiddetta Great Nooros Area, che ora si stima contenga 70/80 miliardi di metri cubi di gas in posto.

Le concessioni per lo sfruttamento sono in mano alla Ieoc, con cui la società italiana detiene una quota del 50% nella licenza di Baltim South mentre l’altra metà è della inglese British Petroleum. Sul posto opera la Petrobel, joint venture paritaria tra Ieoc e la nazionale egiziana Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC). Questa del pozzo Baltim è la terza “grande scoperta” fatta da Eni negli ultimi due anni in Egitto. Ad agosto scorso era stato perforato con successo il pozzo “Zohr 1” (la più grande scoperta della storia del Mediterraneo), situato qualche decina di chilometri più a largo e più a est di Baltim, mentre a luglio l’Eni aveva annunciato di aver ottenuto buoni risultati dal pozzo “Nidoco NW2” che si trova invece sempre nel prospetto esplorativo di Nooros, situato all’interno della concessione Abu Madi West, dove gli accordi interni alla Ieoc danno all’Eni il 75% della concessione (successivamente ne erano stati trivellati con successo anche altri, sempre nello stesso quadrante). Nooros, che sta già pompando 65mila barili di olio equivalente al giorno (dati di maggio 2016) ma ha prospettive di miglioramento, si trova a soli dieci chilometri da Baltim. Queste fatte in Egitto dall’Eni rappresentano la più importante striscia di scoperte dal 1950, secondo quanto dichiarato dalla società di consulenza Rystad Energy alla Bloomberg.

Il colosso energetico italiano si porta in una posizione di assoluto privilegio nell’ambito degli investimenti energetici in Egitto, e in generale nel Mediterraneo. Le nuove perforazioni hanno anche una valenza geopolitica, innanzitutto perché vanno a intaccare gli interessi israeliani, che col pozzo Leviathan s’era assicurato dei protocolli di intenti con la spagnola Union Fenosa Gas e con l’inglese British Gas Group. Prima della scoperta di Zohr, Leviathan, scoperto nel 2010, era il più grosso pozzo del Mediterraneo, e attraverso questo le ditte europee prevedevano di inviare il gas liquefatto via mare direttamente all’Egitto. Ora però le condizioni sono cambiate, il Cairo ha scoperto di essere seduto su un giacimento enorme e diventa semi-indipendente. Gerusalemme ha un cliente in meno, e sta cercando di chiudere accordi con Cipro e Grecia, dopo che anche la russa Gazprom s’è tirata indietro dall’accordo miliardario di sfruttamento – ma in questo periodo ci sono riavvicinamenti molto ampi che coinvolgono la diplomazia di Israele e Russia, e dunque qualcosa potrebbe rimuoversi.

La questione si inquadra all’interno dei controversi rapporti con l’Egitto, che Roma ha raffreddato dopo il caso Regeni. Al Cairo, il governo militarista di Abdel Fattah al Sisi non tocca gli standard minimi nel rispetto dei diritti, ma è comunque un importante alleato occidentale. La Francia ha stretto interessi economici legati molto alla vendita di armamenti, l’italiana Eni ormai non può più prescindere dagli affari legati a quei reservoir scoperti, Washington ne tiene conto per le attività di bilanciamento regionale e controllo al terrorismo. Tutto questo nonostante gli egiziani si dimostrino molto indipendenti, seguendo agende proprie su importanti dossier come quello libico


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