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Manes Bernardini, chi è il tosiano ago della bilancia a Bologna

Niente simboli di partito, un’unica lista civica costruita in meno due anni, l’appoggio esterno delle forze politiche centriste che però si sono ben guardate dal mettersi in prima fila, infine una campagna elettorale giocata sui temi concreti e sulla possibilità di ricavarsi uno spazio tra il Pd, la destra salviniana e i grillini. Mescolate gli ingredienti e ne uscirà il cocktail grazie al quale Manes Bernardini con i suoi 18.188 voti raccolti alle elezioni comunali di Bologna (10.44%) è diventato l’ago della bilancia al ballottaggio tra il sindaco uscente dem Virginio Merola e la candidata leghista Lucia Borgonzoni.

L’EX LEGHISTA RIMASTO FEDELE A TOSI

Quarantaquattro anni, oltre la metà dei quali passati all’interno della Lega (prima tessera nel 1991 e ultima nel 2014), Manes Bernardini da Casalecchio di Reno (a un tiro di schioppo da Bologna) è un avvocato civilista e ha mosso i primi passi in politica quando nel 1998, anno della sua laurea in Giurisprudenza, si è candidato sindaco a Porretta Terme sull’appennino bolognese. Dopo anni di gavetta, finalmente arriva ai vertici della Lega Nord cittadina diventando consigliere comunale nel 2009 con 700 preferenze, per poi candidarsi l’anno successivo anche al consiglio regionale dell’Emilia-Romagna dove entra con ben 5.542 preferenze. Nel 2011 il grande salto: si candida sindaco di Bologna in quota Lega Nord, sostenuto anche dal Pdl, e con il 30,35% dei consensi sfiora il ballottaggio dato che Merola vince al primo turno con il 50,47%. Rispetto al risultato di domenica scorsa della Borgonzoni (22,28% per 38.807 voti), Bernardini 5 anni fa rimase fuori dal secondo turno pur avendo preso quasi 25mila voti in più dell’ex collega di partito.
Nel 2014 per l’avvocato vicino al sindaco di Verona, Flavio Tosi, arriva il momento di dire addio al partito (“questa non è più la mia Lega” disse in questa intervista al Resto del Carlino). Pomo della discordia, la divergenza rispetto alla linea di Matteo Salvini (che aveva tentato invano di sfidare al congresso federale  senza però raccogliere le firme sufficienti) e il difficile rapporto con la stessa Borgonzoni, commissaria del partito sotto le Due Torri. La mancata ricandidatura al consiglio regionale alle elezioni del novembre 2014 è solo la goccia che fa traboccare il vaso.

IL SUCCESSO DELLA LISTA CIVICA INSIEME BOLOGNA

Non capita a tutte le liste civiche di raggranellare oltre il 10% dei consensi e porsi come ago della bilancia del ballottaggio dopo nemmeno due anni di vita. Eppure è quel che è riuscito a fare Bernardini, che nell’autunno 2014 ha lanciato il suo progetto presentandolo in una sala gremita all’interno di Palazzo d’Accursio a Bologna, alla presenza sia dell’amico Flavio Tosi che di Stefano Sermenghi, sindaco della vicina Castenaso, un esponente del Pd, renzianissimo della prima ora che non ha mai nascosto la propria insofferenza verso l’establishment del partito locale e la propria vicinanza a Bernardini.
Chiara contrapposizione alla sinistra, dura battaglia in consiglio comunale, forte impegno sul tema della sicurezza e del degrado. Fino all’appoggio dell’Udc (che a Bologna conta sulla rete di relazioni di casiniana memoria legata al ministro Gianluca Galletti) e di Ncd (la cui consigliera comunale uscente è la portavoce nazionale Valentina Castaldini, che raccoglie anche i consensi di ambienti ciellini). Così Bernardini ha costruito il suo successo, ricavandosi uno spazio tra il Pd, la destra salviniana e il Movimento 5 Stelle rappresentato dal fedelisimo di Beppe Grillo, Massimo Bugani, fermatosi attorno al 16%.
Lo spazio per un centro moderato a Bologna quindi c’è. O comunque, Bernardini l’ha creato scrollandosi di dosso l’immagine del leghista cattivo.

NIENTE APPARENTAMENTI CON LA LEGA

Per il secondo turno Bernardini ha scelto la strada della trasparenza. Almeno questa è la sua versione. Nel senso che ha voluto proporre un apparentamento ai due candidati sindaco rimasti in campo, basato sull’accordo attorno a 5 punti programmatici che lui ritiene imprescindibili. A leggerli, si capisce che l’unico candidato a poterli accettare è la leghista Borgonzoni, tanto sono distanti dalle posizioni del Pd. “Siamo una lista civica con un profilo di indipendenza ed autonomia dai partiti e dalle loro logiche – ha detto Bernardini -. Il nostro eventuale sostegno sarà subordinato all’accordo su cinque punti di programma che per noi sono irrinunciabili: il blocco del Passante di Mezzo con l’apertura di uno studio di fattibilità su progetti alternativi, magari riprendendo lo spunto del concorso di idee tra professionisti di livello nazionale ed internazionale; la ristrutturazione e valorizzazione dello stadio Dall’Ara, con una politica di compensazioni trasparente e condivisa; la vendita delle azioni Hera in possesso del Comune, per liberare importanti risorse da reinvestire rapidamente nel territorio per una nuova politica di sviluppo; un piano straordinario per le periferie della città, sino ad oggi abbandonate a se stesse; il mantenimento della delega alla sicurezza in capo al Sindaco, ipotesi che garantirà il massimo coinvolgimento della futura Giunta su questo tema”.
Peccato che la Borgonzoni abbia rispedito la proposta al mittente, dicendo che “gli apparentamenti non sono la soluzione perché dobbiamo mantenere la parola data ai cittadini ai quali abbiamo fatto promesse ben precise in campagna elettorale”. E così Bernardini – che non l’ha certo presa bene – ne ha preso atto a malincuore precisando che “siamo alternativi al 100% a questa amministrazione, il ballottaggio è diventato un referendum su Merola. A questo punto lascio libertà di coscienza e di voto a tutti coloro che ci hanno sostenuto”. Dunque, “chi ha votato per  noi da domani è libero di valutare il meglio per la città. Voglio avere le mani libere in consiglio comunale, non cerco poltrone. Cosa voterò io? Sono per il cambiamento, quindi avete già capito”. Morale della favola, nonostante il rifiuto ricevuto Bernardini voterà la Borgonzoni.

 

 

 

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