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Ecco come Vittorio Feltri di Libero si districa fra renzismo e anti renziani

Luigi Bisignani e Vittorio Feltri

Qualche rivincita è permessa anche agli sprovveduti, o come altro chiama Vittorio Feltri, ricorrendo ad una parolaccia, quanti hanno visto nel suo ritorno alla direzione di Libero Quotidiano una correzione della linea politica del giornale della famiglia Angelucci a favore di Matteo Renzi.

Non potevano passare inosservati i due articoli appaiati sulla prima pagina domenicale di Libero, appunto, a firma di un collaboratore ormai storico della testata, Giampaolo Pansa, e del suo direttore: l’uno contro Renzi e l’altro in difesa, per quanto Feltri senior abbia scritto, difendendolo dalle critiche di Pansa, che le “sorti” del presidente del Consiglio e segretario del Pd “non ci stanno a cuore”. Non gli staranno a cuore, ma alla testa sì.

Pansa, che non è tipo da cambiare idea con un cambio di direzione al giornale cui gli capita di collaborare, com’egli stesso ebbe d’altronde ad avvertire nel primo Bestiario – il titolo della sua fortuna rubrica – confezionato dopo la brusca uscita di Maurizio Belpietro, antirenziano come lui, ha scritto contro il presidente del Consiglio uno dei suoi articoli più urticanti. Lo ha trovato, fra l’altro, troppo somigliante a uno sbruffone di fantasia della sua terra piemontese che soleva vantarsi di trattare come gatti i leoni. Uno dei quali ad un certo punto si stufò dell’importuno, arrivato a prenderlo a schiaffi, divorandoselo.

I leoni importunati da Renzi sarebbero gli elettori e il suo partito. Gli elettori avrebbero già cominciato a spazientirsi nelle elezioni regionali dell’anno scorso e in quelle amministrative di quest’anno, ben diverse nei risultati dal 40 per cento e più dei voti raccolti dal nuovo segretario del Pd nelle elezioni europee del 2014, poco dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi. Il partito sarebbe destinato, secondo Pansa, a seguire i suoi elettori in uscita e a fare pagare cara a Renzi alla prima occasione “la gaffe” compiuta minacciando, anzi annunciando l’uso del “lanciafiamme” dopo i dispiaceri procuratigli dalla periferia nel voto del 5 giugno.

Persino un renziano come il vice presidente della Camera Roberto Giachetti, che il 19 giugno si giocherà la partita del Campidoglio nel ballottaggio con la grillina Virginia Raggi, ha reagito alla minaccia del lanciafiamme rivendicando, per quanto ironicamente, il “pacifismo” imparato nella scuola radicale del compianto Marco Pannella.

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Per Vittorio Feltri invece “il problema non è Renzi, ma la stupidità dei suoi nemici”. Che non vogliono riconoscergli il coraggio di avere voluto riformare una Costituzione troppo vecchia, scritta “quando la gente non aveva ancora il bagno in casa e si doveva accontentare di un cesso alla turca in comune, non c’era la Tv e gli italiani vivevano di stenti”.

Renzi – ha insistito il direttore di Libero – sarà antipatico, non avrà fatto i miracoli che prometteva di fare, ma da qui a dire che intenda irrigidire gli italiani nel saluto romano, come un nuovo Mussolini, “ce ne corre”.

D’altronde, sempre secondo Feltri senior, per fare “sloggiare” il presidente del Consiglio “non occorre molto”. Guardandosi bene dall’invitare i lettori a votare nel referendun d’autunno contro la riforma costituzionale, visto che lo stesso Renzi si è impegnato a dimettersi in caso di bocciatura, il direttore di Libero ha scritto che “basta metterlo in minoranza in Parlamento”. Cosa che, in verità, le minoranze del Pd hanno più volte cercato di fare unendosi alle opposizioni di sinistra e di destra, senza riuscirci perché alla fine hanno perduto pezzi per strada sia i dissidenti della maggioranza sia le opposizioni.

Né vale evocare, come ha fatto Vittorio Feltri, l’esempio del segretario della Dc Ciriaco De Mita, che nel 1987 riuscì a sloggiare da Palazzo Chigi il pur potente e ostinato Bettino Craxi, reclamando e riportando un democristiano alla guida del governo per andare subito alle elezioni anticipate. La posizione di Renzi è ben diversa dall’allora presidente socialista del Consiglio. Egli è insieme il De Mita e il Craxi di allora, sommando le cariche di segretario del partito di maggioranza e di capo del governo.

Ripeto: l’unico modo per detronizzare Renzi, visto anche il suo rifiuto di dimettersi nel caso in cui i suoi candidati dovessero perdere anche i ballottaggi comunali del 19 giugno, sarebbe quello di sconfiggerlo nel referendum costituzionale di ottobre. Cosa che Feltri si guarda bene dall’auspicare, e non a torto, a mio avviso, perché la conseguente crisi di governo sarebbe da brividi. Renziano pure io, come lui ? Forse. Eppure egli ha dato dei “coglioni” –scusate la parolaccia- a quanti hanno valutato politicamente il suo rifiuto di cavalcare il referendum costituzionale d’autunno contro Renzi, diversamente dal suo predecessore Belpietro.

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Sospetto che nel Pd abbia cominciato a stancarsi di Renzi anche Staino, che nella vignetta quotidiana sull’Unità ha fatto appena auspicare dalla figlia di Bobo l’assunzione del socialista Sanders, il candidato democratico sconfitto dalla Clinton nella corsa alla candidatura per la Casa Bianca. Dove il fantomatico Stato Islamico, peraltro in arretramento militare in Libia e altrove, preferisce forse vedere arrivare il candidato repubblicano Trump. Al quale ha offerto l’occasione di addossare al presidente democratico uscente, Obama, anche parte della responsabilità della strage islamista appena compiuta a Orlando in un locale frequentato da gay.

Il bilancio dell’assalto di un fanatico ventinovenne, ucciso alla fine dalla polizia, è stato orrendo: 50 morti e 53 feriti.



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