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Perché i centristi filo Renzi guardano al modello Rimini

A Rimini, dove si è votato per le Comunali, è andato in scena quello che diversi centristi auspicano da tempo. Ovvero la costituzione di una forza politica di centro, alleata ma non alternativa al Pd. Nella città simbolo della Romagna, infatti, ha vinto al primo turno il sindaco uscente, il piddino Andrea Gnassi, con il 57 per cento dei voti, sconfiggendo il candidato del centrodestra a trazione leghista Marzio Pecci, fermo al 24,9. Un successo che non sarebbe stato possibile senza la formazione della lista “Patto civico con Gnassi, città metropolitana”, che ha raggiunto il 13,8 per cento dei voti. Una lista che raggruppa tutte le forze di centro che guardano a Renzi e che fanno riferimento al mondo delle piccole e medie imprese, delle professioni e della cultura riminese. Regista dell’operazione è Sergio Pizzolante, deputato di Ap, ex Forza Italia, che a Rimini prima era all’opposizione dello stesso Gnassi, e da qualche tempo auspica questa prospettiva anche in ottica nazionale. “A Rimini (dove Ap alle ultime regionali ha preso il 5,7%, ndr) abbiamo fatto quello che mi piacerebbe vedere messo in pratica a Roma, ovvero il superamento delle vecchie sigle di centro e di tutti i pezzetti sparsi dei reduci dei vecchi partiti per dare vita a una nuova formazione che sia alleata, ma autonoma, del Pd riformista e renziano. Qui siamo stati decisivi per la vittoria al primo turno. Altrimenti, se restiamo confusi, ognuno nel proprio orticello, non andiamo da nessuna parte e non siamo risultiamo attrattivi”, spiega Pizzolante.

La ricetta romagnola è stata vincente a livello locale, ma è esportabile sul nazionale? “Ormai la contrapposizione non è più centrodestra contro centrosinistra, lo scenario tripolare è reale con una divisione tra speranza, paura e rabbia. Lo scontro è tra costruttori e distruttori, tra innovatori e conservatori. Io credo vi sia una larga fetta di ceto medio produttivo che è interessato a un progetto di ampio respiro, con un bacino elettorale del 15 per cento, che metta insieme le forze moderate e riformiste di centro. Un ceto medio composto in parte da elettori ex berlusconiani che potrebbe stare con Renzi ma non vuole votare il Pd…”. Altrimenti il rischio, secondo Pizzolante, è che si affermino sempre più “una destra lepenista che alimenta le paure” e “i Cinque Stelle che incanalano la rabbia contro le istituzioni democratiche”.

Quindi addio partito della nazione? “Quella strada si può intraprendere solo se Renzi si libera dei residui di sinistra del Pd e dà vita a un nuovo partito, con all’interno la sinistra riformista e il centro moderato e, per dirla come Tony Blair, muscolare. Ma questa è un’iniziativa che, almeno nel primo passo, spetta a lui”. Restando divisi, però, sarete svantaggiati dall’Italicum. “Se nasce una forza nuova, forte, rappresentante del ceto medio, Renzi non potrà farne a meno. E quindi sarebbe nel suo interesse modificare la legge elettorale”.

Insomma, al centro c’è fibrillazione. Pierferdinando Casini si è distaccato da Lorenzo Cesa, Gaetano Quagliariello ha dato vita a un nuovo sottogruppo parlamentare, Raffaele Fitto dei Conservatori e Riformisti è sempre in movimento e di recente ha incontrato o sentito esponenti di spicco di Forza Italia, Flavio Tosi scalpita e renzianamente dirà Sì al referendum costituzionale, Denis Verdini ha usato le comunali per iniziare a testarsi, con modesti risultati, sul territorio, anche se il ruolo di Ala a Cosenza e Napoli non è stato esaltante, visti i risultati, avrebbe detto lo stesso Renzi a Luca Lotti secondo la ricostruzione del Corriere della Sera. E poi c’è Ap di Alfano, di cui Pizzolante fa parte. Il ministro dell’Interno sabato scorso ha annunciato che il suo partito in autunno deciderà se passare all’appoggio esterno al governo. Non esattamente la prospettiva immaginata da Pizzolante. “L’appoggio esterno non esiste. Evocarlo significa non aver capito le nuove dinamiche politiche. E poi Renzi ci asfalterebbe andando subito a elezioni anticipate”, commenta il deputato riminese di Ap. Infine, c’è anche Forza Italia. Che succederà ora al partito azzurro con un Silvio Berlusconi a mezzo servizio? Potrebbe paradossalmente rivivacizzarsi e tornare in campo? “Una nuova Forza Italia con o senza Berlusconi non esiste. Facciamo tutti gli auguri al presidente, ma ormai quella Fi è un partito residuale e nostalgico che sta alla seconda repubblica come l’Msi stava al ventennio mussoliniano”, sostiene Pizzolante.

Nel frattempo, però, ci sono i ballottaggi. “A Roma temo vinca Virginia Raggi. A Milano la partita è aperta, ma se Sala perde sarà colpa sua e del Pd milanese, troppo spostato a sinistra. La partita vera sarà però il referendum, che Renzi forse ha personalizzato in modo eccessivo, ma che sarà decisivo per il futuro del Paese. Referendum che il premier non potrà vincere da solo, ma con le forze che sostengono il suo governo”.

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