L’agenzia inglese Portland Communication nel suo secondo report annuale “Soft Power 30: a ranking on global soft power” ha inserito la Russia nel novero delle trenta nazioni maggiormente influenti nel soft power. Secondo Kommersant, uno dei più importanti quotidiani politico-finanziari russi, la presenza in questo elenco denota la capacità di Mosca di influire sugli altri Paesi con i valori civili e non con i soldi o le armi. L’argomento ha varie sfaccettature ed è oggetto di studi e ricerche: recentemente, per esempio, si è tenuta a Roma la conferenza ‘Il Soft Power russo: la lotta per l’influenza in Europa e come l’UE dovrebbe rispondere’, promossa dall’Atlantic Council e dall’Istituto Gino Germani.
CHE COS’È IL SOFT POWER
Alessandro Pandolfi è un analista dell’Osservatorio di politica internazionale (Opi), specializzato in questioni militari e nell’area post-sovietica: in una conversazione con Formiche.net spiega che “il soft power, seppur interpretato diversamente dall’Occidente, è da tempo inteso come una variabile da affiancare alle altre nella gestione della politica estera”. Come possiamo definirlo? “Joseph Nye ha definito il soft power come la capacità di plasmare le preferenze, di attrarre seducendo mediante la propria cultura (se affascinante per gli altri), i propri valori (quando vi si attiene) e le proprie politiche estere (se considerate legittime e morali). Ogni nazione può esserne dotata, apportando caratteristiche uniche che riflettono il proprio sistema domestico e l’idea che si vuole proiettare all’estero”.
UN’OPINIONE PUBBLICA E INTERNAZIONALE DA RICOSTRUIRE
La Federazione russa, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, si è trovata in una situazione di difficoltà sotto tutti i profili: dalle forze armate allo status internazionale, dalla crisi d’identità a quella dello Stato. “Domesticamente la dirigenza ha progressivamente costruito una narrazione identitaria per colmare il percepito vuoto ideologico, in particolare con la svolta che ha seguito le proteste di piazza del 2010-2011. Una mossa studiata dagli ideologi e strateghi del Cremlino, come Vladislav Surkov, mirata a cementare l’identità, rafforzare il consenso e supportare la politica estera”. “Per colmare il gap con Usa e UE sono state quindi studiate varie iniziative, tra le quali il rilancio della public e cultural diplomacy e la (ri)creazione di una potenza mediatica di primo livello. Strumenti di marketing e agenzie di lobbying occidentali sono regolarmente impiegate, nuovi enti di cooperazione e di promozione della cultura all’estero sono stati fondati”, spiega l’analista. Una particolare attenzione pare sia destinata alla sfera informativa: “Fonti piuttosto credibili, come Russia Beyond the Headlines, sono dirette alle fasce occidentali medio-alte, mentre a reti quali RT e Sputnik è lasciata la propaganda. Hanno uno stile che è molto distante dagli standard della grande stampa internazionale ma queste reti, ponendosi come anti-mainstream, hanno avuto successo”. Come ricostruisce Pandolfi, questa linea non ha avuto il successo sperato ed è stata parzialmente modificata: “La rappresentazione che la Russia ha cercato di costruire è stata gravemente danneggiata da avvenimenti quali i delitti Politkovskaja e Litvinenko o la guerra con la Georgia. L’emittente Russia Today ha modificato ben presto la sua linea di spin dell’immagine e della cultura russe, che è stata un fallimento, per un orientamento maggiormente propagandistico e critico dell’Occidente, aggiunge.
IL CAMBIO DI PASSO CON LA CRISI UCRAINA
La crisi ucraina è stato un passaggio temporale discriminante? “Certamente, ma una riorganizzazione dei media di Mosca era già avvenuta a fine 2013, con la centralizzazione nel conglomerato di Stato Rossiya Segodnya. I media del Cremlino hanno progressivamente virato su una linea sempre più propagandistica e anti-occidentale, generando preoccupazione in non poche capitali. Da un lato è stato sempre più analizzato il rapporto con i poli dello spettro politico europeo, ma anche con parte delle élite politico-economiche occidentali. Dall’altra parte anche le elaborazioni più strettamente militari, quelle sulla cosiddetta guerra ibrida, hanno analizzato strumenti peculiari quali influenza, pressioni economiche, manipolazione delle percezioni, guerra informatica”. Tre giorni fa i funzionari del Democratic national comitee americano, il raggruppamento politico dem, hanno segnalato che il proprio sistema informatico era stato violato da hacker collegati con il Cremlino: il fine, rubare informazioni confidenziali e sensibili su Donald Trump, candidato repubblicano, e ovvio oggetto del dossieraggio degli avversari politici. “Come hanno notato vari autori, il concetto di influenza, centrale nella concezione russa, è inteso diversamente dall’Occidente, pregiando la componente della coercizione, della pressione e dell’inganno (deception) rispetto all’idea di un fascino basato su principi positivi e attraenti” spiega Pandolfi. La questione si fa poi scivolosa quando si collega alle attività dei servizi. “Nel pensiero strategico russo le idee di manipolazione politica, indebolimento dei governi, alterazione delle percezioni e divisione del fronte avversario, godono di una certa centralità. D’altra parte il know how accumulato dal KGB è quasi unico: dalla celebre disinformatia alla creazione di fronti artificiali, dalle attività d’influenza al confezionamento di documenti falsi. Dopo l’Ucraina questo campo, che a Mosca si indica come “misure attive” (active measures), è tornato sotto i riflettori, spingendo alcuni analisti a riscoprire concetti e pratiche tipiche della Guerra fredda”. Pratiche che sembrano tornate forti in questa periodo.
IL SOFT POWER A LA RUSSE
Come emerso anche al congresso di Roma, e nonostante le diverse opinioni sul grado di premeditazione di certe dinamiche, il crescente attivismo dell’intelligence russa in Occidente non è estraneo alle operazioni di influenza e manipolazione, ormai sempre più evidenti e analizzate da think tank e istituzioni euro-atlantiche. “Disinformazione e propaganda, creazione di reti di influenza, uso sistematico del cospirazionismo, manipolazione dei settori populisti e anti-sistemici europei, creazione di nuove schiere di utili idioti: il soft power russo e le misure attive generano preoccupazione nelle istituzioni europee e atlantiche, che stanno adottando una serie di contromisure, che però sembrano un po’ deboli”. A questo punto appare difficile distinguere su cosa rientra nel soft power e cosa invece va inquadrato sotto altri aspetti (e apparati statali). “Sono in effetti domande complesse che richiedono ben più attenzione di quanta ne è stata destinata finora, un trend che è cambiato dall’Ucraina in poi come si diceva. Come è emerso anche dalla recente conferenza, nessuno nega alla Russia la legittimità di avere un proprio soft power. Il punto è, ammesso che si tratti genuinamente di soft power, la natura ingannevole, radicale e dannosa di certe attività. Dalle tradizionali frizioni europee alla crisi dell’immigrazione, dalla Siria ai secessionismi europei, il Cremlino non ha perso l’occasione di indebolire e dividere giocando sulle debolezze occidentali”.