Domenica si vota per il sindaco di Milano, Torino e Roma, ma già si pensa al referendum di ottobre per la riforma istituzionale. A Milano, per questa ragione, buona parte dell’establishment si è schierata compattamente con Beppe Sala, sostenuto dal centrosinistra. Perdere Milano costerebbe al leader del Pd, Matteo Renzi, quell’immagine di condottiero vincente necessaria per portare a casa la nuova Costituzione.
SOSTIENE IL LIBERALE MINGARDI
“Peccato che sia un ragionamento totalmente sbagliato. Per il referendum, è molto più utile a Renzi che sia Parisi a vincere a Milano”, dice in una conversazione con Formiche.net Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, di solito appartatissimo rispetto alla vita dei partiti e che invece ha fatto endorsement a Parisi sull’edizione milanese del Corriere, che lo ha contrapposto a un grande vecchio come Piero Bassetti, sponsor di Sala. “Se immaginiamo una partecipazione elettorale del 60% al referendum di ottobre – sostiene Mingardi – vuol dire che andranno a votare 30 milioni di persone. Al referendum sulle trivelle hanno partecipato 15 milioni di persone: tutti probabili elettori del sì, visto che i pochi no erano vecchi ‘industrialisti’ di sinistra, i quali verosimilmente a ottobre faranno quadrato attorno alla Costituzione”.
LE APERTURE AZZURRE AL REFERENDUM
E allora? “Allora – risponde il direttore generale del pensatoio liberale e liberista – Renzi dove li va a pigliare più di quindici milioni di voti? Quindici milioni di voti sono grossomodo quanto prese l’Ulivo al suo massimo storico, nel ’96, quando andava dai liberal-democratici di Dini ai comunisti di Bertinotti…” Per questo Mingardi è convinto che “il premier deve provare a rendere contendibili i voti del centrodestra. Ha bisogno di una apertura, che Forza Italia lasci libertà di coscienza almeno. Questo può succedere se a Milano vince Parisi, per un motivo molto semplice: oltre alla buona affermazione di Forza Italia alle Comunali, i più interpreterebbero la cosa come un segnale che con un candidato che guarda al centro si vince. Quel che rimane del ceto politico di FI penserebbe che può avere senso, elettoralmente, rimanere fedeli a posizioni liberali e riformiste. Che significa tenere una linea morbida, aperturista sul referendum (quando si vota su una riforma comunque battezzata anche da Berlusconi) e differenziarsi fortemente dai cinque stelle”.
GLI EFFETTI DI UNA VITTORIA DI SALA SUL CENTRODESTRA
E se invece Parisi perdesse? “Il punto è che se vince Sala e l’alternativa moderata – dice Mingardi – si svapora con la stessa velocità con cui era comparsa dal nulla, è normale che parlamentari e dirigenti di Forza Italia si gettino fra le braccia di Salvini: l’unica chance che rimane loro per avere un futuro, specie con un Berlusconi sostanzialmente fuori gioco”. Il liberale Mingardi scommette che i partiti avranno il loro peso a ottobre, anche quelli esangui come Forza Italia: “La Costituzione è un tema che appassiona politici e giuristi, non la gente comune. Renzi potrebbe andare a prendersi la fiducia dei ceti produttivi scommettendo su politiche di deregulation, ma è improbabile che accada, anche perché l’opposizione interna è così forte. In assenza di qualcosa che li convinca nel portafoglio, è più probabile che le persone politicamente attive si allineino ai partiti in questo caso che in altri: chi è che ha davvero tempo per informarsi sulla riforma costituzionale e che ha davvero voglia di votare nel merito della questione?”. Non si rischia però che un Renzi indebolito perda appeal? “Guardi che già le elezioni regionali erano andate non molto bene, con Toti che aveva vinto a sorpresa in Liguria, il trionfo di Zaia in Veneto, e l’Umbria così contesa…”, risponde Mingardi.
PARISI E LA COSTITUZIONE FIRMATA RENZI-BOSCHI
Ma Parisi che pensa della Costituzione? Sul referendum è stato fin qui molto abbottonato, come si è visto anche nei dibattiti tv con Sala, e per Mingardi “il tema non è la posizione di Parisi di per sé: ma il meccanismo che una sua vittoria elettorale potrebbe far scattare. Consentire che un pezzo di centro-destra si esponga per il si, o che almeno cresca la potenziale astensione fra le persone non di sinistra…”.
LE CONVERGENZE PARALLELE
Le posizioni del parisiano Mingardi trovano inaspettata eco nei distinguo, a sinistra, di Carlo Cerami, avvocato ed esponente di punta del PD milanese, ex dalemiano e ora renziano convinto, sull’interpretazione del voto di Milano. Cerami su Facebook ha postato uno status critico sull’iper-politicizzazione del voto milanese. “Indubbiamente, una sconfitta diffusa nei ballottaggi ed in particolare a Milano segnerebbe anche una sconfitta della segreteria nazionale del Pd”, ha scritto Cerami. Ma aggiunge che “a Milano risulterebbe sconfitta anche una formula politica disomogenea rispetto al quadro nazionale, e fortemente segnata da una esperienza di governo locale che include pezzi di una sinistra collocata all’opposizione del governo nazionale e più in generale del disegno di riforme condotto dal governo presieduto dal segretario del Pd Renzi”.
LO SCENARIO
Insomma, se a Milano perde Sala non perde solo Renzi, e sarebbe strumentale usare la sconfitta del candidato a Palazzo Marino per metterne in discussione la leadership e sabotarne la corsa referendaria. Parole che si possono leggere anche alla rovescia: guai se l’affermarsi proprio a Milano di “una formula politica disomogenea rispetto al quadro nazionale” servisse per minare la riforma della Costituzione.