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Donald Trump, dalla Russia con amore

È il Trump-pensiero condensato in pillole quello raccolto da Alain Friedman in un’intervista al candidato repubblicano alle presidenziali americane fatta per il Sunday Times e poi pubblicata domenica sul Corriere della Sera: “la Merkel” ha fatto “un errore madornale (“Madornale, madornale!” ribadito due volte, ndr)” nel far entrare tutti quegli immigrati in Germania e Europa, Il QE di Mario Draghi “potrebbe rivelarsi controproducente nel lungo termine”, “non ho amato l’idea dell’euro fin dall’inizio del progetto. E non inizia a piacermi ora”, l’inclinazione verso la Brexit, “dobbiamo battere l’Isis”, stringere “i migliori” accordi commerciali con la Cina, “parlerò con Kim”, le solite critiche a Hillary Clinton (proxy: la Clinton Fondation, incolpata di nuovo di ricevere finanziamenti da controversi paesi del Golfo). Quello che resta di più interessante è la conferma del feeling di Donald Trump con la Russia, in un momento in cui le relazioni tra Mosca, Nato e Occidente sono ai minimi da anni: “Credo che andare d’accordo con la Russia sarebbe un’ottima cosa, che avrebbe ripercussioni positive in tutto il mondo” e ancora, più nello specifico e per entrare nel sentimento dell’opinione pubblica americana scossa ancora dai fatti di Orlando, “Credo che sarebbe molto utile se ci coordinassimo per raggiungere questo obiettivo comune. Anche loro vogliono battere l’Isis. La Russia è una potenza. Credo che uno sforzo coordinato sarebbe una cosa positiva, non negativa” (in questi giorni si comincia a parlare di un’intesa/coordinamento tra Mosca e Washington per un nuovo ritorno in forze dei russi in Siria).

IL RAPPORTO CON LA RUSSIA

Questa linea russa di Trump è interessante perché fa da sponda, oltreoceano, alle parole di Vladimir Putin, che giovedì dal forum economico di San Pietroburgo ha definito il magnate prestato alla politica americana un uomo “brillante” e ha auspicato che con la sua vittoria i rapporti tra le due superpotenze possano avere una “completa ripresa”. Negli stessi giorni è uscita anche un’inchiesta del Washington Post che racconta degli interessi del miliardario newyorchese in Russia: e forse anche a questi bisogna guardare per comprendere i motivi di certe aperture, è il messaggio nemmeno troppo subliminale lanciato dal pezzo del WaPo. Il giornale americano racconta, anche attraverso le testimonianze di Aras Agalarov, uomo d’affari russo-armeno (la cui fortuna immobiliare si lega a progetti edilizi finanziati dallo Stato) che ha fatto da mediatore tra i due, l’emozione di Trump in vista di un incontro personale con Putin che doveva svolgersi nel luglio del 2013 a margine del concorso di Miss Universo (di cui The Donald comprò l’intero pacchetto nel 1996), svoltosi per volontà dell’americano a Mosca; sol un anno prima, nel 2012, il candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney definiva la Russia come la principale minaccia geopolitica per gli Stati Uniti. Il concorso è un argomento di dibattito proprio in questi giorni, perché Univision, il più grande network televisivo ispanico in America, s’è ritirato dal contratto con Miss Usa, satellite continentale della Miss Universe Corporation, accusando il candidato repubblicano di essere razzista nei confronti dei messicani (in ballo, oltre al muro e alle sparate contro gli immigrati del sud, le accuse a un giudice di origini messicane che sta curando la sentenza sulla Trump University). Nell’articolo firmato da Tom Hamburger, Rosalind S. Helderman e Michael Birnbaum si ripercorrono trent’anni di storia commerciale di Trump in Russia, affari, investimenti, il sogno ventennale di una Trump-Tower a Mosca come quella sulla 5th Ave, progetti per resort turistici sul Mar Nero, contatti con gli oligarchi locali: un filo di collegamento che “riflette anche la volontà di Trump di vedere gli altri leader mondiali attraverso le proprie connessioni personali. In un Partito repubblicano in cui la capacità di resistere a Putin è stato visto come una prova di resistenza, il rapporto di Trump con il leader russo è invece di reciproca adulazione”. Ad aprile l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergey Kislyak ha rotto gli schemi del protocollo diplomatico (che non prevede, per eleganza, la partecipazione a discussioni di politica interna) e ha preso parte al discorso sugli Esteri di Trump, in cui il candidato ha detto di voler porre fine a “questo orribile ciclo di ostilità” tra le due nazioni.

LE REAZIONI PREOCCUPATE DEI REPUBBLICANI

È per questo genere di posizioni e situazioni (l’apertura alla Russia, il dialogo con Kim, le posizioni dure nei confronti delle minoranze che potrebbero produrre destabilizzazioni interne) che alcuni repubblicani storici stanno decidendo di prendere la strada-Clinton, a cominciare per esempio da Richard Armitage, ex vice segretario di Stato con George W. Bush. È “uno dei segni più drammatici che le élite repubblicane della sicurezza nazionale stanno rifiutando il candidato del loro partito” ha scritto Politico, che ha raccolto la breve intervista in cui Armitage ha spiegato che voterà per Hillary, una cosa che sembra paradossale. Mentre in settimana è prevista una raccolta fondi pro-Trump a New York (con una cena da 50mila dollari per piatto) tra uomini d’affari di Wall Street, tra cui, per esempio, John Paulson, il cui hedge fund ha speculato milioni su milioni di dollari sul crollo del mercato immobiliare, gli stakeholder della national security repubblicana continuano a prendere strade diverse da The Donald. In decine hanno già dichiarato di non volerlo come presidente, adesso addirittura qualcuno come Armitage si sbilancia sul voto per Hillary. Esempi: Max Boot, storico analista militare neocon di primo piano; Mark Salter, per lungo tempo chief of staff del falco repubblicano John McCain, o il colonnello dell’esercito in pensione Peter Mansour, un ex assistente superiore del generale David Petraeus, icona di successo del conservatorismo militare americano, vanto dell’operatività repubblicana se ce n’è uno, lui stesso protagonista di un op-ed sul Washington Post uscito alla metà di maggio in cui definiva “tossica” la politica predicata da Trump, con un piede sull’acceleratore per la “bigotta” linea contro i musulmani. Altri, secondo Politico, sono sul punto di esporsi: James “Mad Dog” Mattis, ex generale a quattro stelle dei Marines, è stato addirittura sul punto di candidarsi in un’avventurosa corsa da indipendente come punta di lancia di un gruppo di conservatori anti-Trump guidato dall’editor del Weekly Standard William Kristol. Della questione aveva parlato già a maggio Foreign Policy che raccontava come Mike Mullen, ammiraglio ex capo di stato maggiore, aveva più volte incontrato l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg ai tempi della sua possibile candidatura, con l’idea di far parte del team. Daniele Raineri del Foglio aveva commentato la situazione americana così: “Si interpellano gli ex generali con le stesse speranze con cui in Italia si interpellano i tecnici: come autorità credibili che possono correggere le derive considerate demenziali della conversazione politica”.

(Foto: Mosca, Donald Trump con Gabriella Isler, Miss Universo nel 2013)

 

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