“Il re del debito è un pericolo per l’economia americana” ha detto Hillary Clinton del suo quasi-certo avversario alle presidenziali Donald Trump (il riferimento, duro, anche alla disastrosa crisi economica in cui versa la campagna dello sfidante), mentre il magnate newyorchese che correrà per i repubblicani ha risposto “è una bugiarda di prim’ordine”. Si scaldano gli animi a poche settimane dalle convention di partito che incoroneranno definitivamente i runner per la Casa Bianca, mentre The Donald cerca anche uno scenario internazionale per farsi pubblicità: arriverà venerdì 24 giugno in Scozia. In un Regno Unito che sarà seppellito dall’analisi del voto sul referendum “Brexit” e che avrà addosso gli occhi del mondo, il tycoon prestato alla politica inaugurerà il suo lussuoso golf resort “Trump Turnberry“, dopo tante polemiche con i locali e una ristrutturazione costata circa duecento milioni di sterline. È il primo viaggio in Gran Bretagna da quando Trump è arrivato ai ferri corti con il primo ministro inglese David Cameron per le polemiche seguite alla proposta del candidato Gop di bandire i musulmani dagli Stati Uniti, sostenute facendo l’esempio, negativo, della Gran Bretagna “islamizzata”. E la situazione non è certo migliorata quando lo scorso mese ha espresso la sua opinione favorevole al “Leave” per quel che riguarda il referendum che si sta votando in queste ore; non è un buon segnale per l’eventuale futuro della “Special Relationship” di Wiston Churchill se a novembre dovesse vincere il repubblicano. Trump ha usato la questione Brexit per calcare la propria linea politica e per marchiare la sua netta contrapposizione a Clinton e Barack Obama. Sul referendum inglese c’è da sfruttare tutto per tramutarlo nei suoi argomenti cari, d’altronde: la traiettoria anti-sistema, il tema-immigrazione come una delle componenti principali, insieme alla necessità (nazionalista e isolazionista) di aumentare la propria indipendenza ed essere eccezionali da ingombranti sovrastrutture (che siano l’Europa, o la Nato, o l’ordine mondiale, è il concetto che conta).
ASPETTI SIMILI E QUESTIONI ESISTENZIALI
Per questo Stephen Collison, il giornalista che copre per la Cnn la campagna presidenziale, ha paragonato la situazione inglese a quella americana: due territori in cui forze populiste e anti-sistema si stanno facendo largo a colpi di consensi. Boris Johnson, uno dei principali sostenitori dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, mercoledì sera nel discorso conclusivo della campagna referendaria a Wembley ha stigmatizzato che la vittoria dei “Leave” significherebbe l’inizio della vera “indipendenza”, appunto, una qualcosa di simile al “Make America great again” di Trump. “Il suo Make Great Britain Great Again” l’ha definito Joseph Shatz, ma il corrispondente che per Politico segue le questioni europee ha sottolineato che il dibattito nativista inglese e il voto al populismo conservatore in America non sono la stessa cosa, perché il primo è basato su sentimenti esistenziali e politiche decennali. Però, come ha spiegato il professore della London School of Economics and Political Science Tim Oliver, la similitudine c’è: nello stesso modo in cui Cameron ha provato a soddisfare le richieste degli euroscettici interni ai Tories per mantenere stabile il partito, ottenendo però che questi prendessero sempre più forza e consenso, il Gop ha costruito politiche di opposizione estreme e fortemente anit-establishment per contrastare Obama in modo ostinato, al punto che poi queste hanno spinto gli elettori repubblicani verso Trump e il trumpismo.
LA VISITA IN SCOZIA
L’arrivo del candidato americano in Scozia, paese natale della madre, però non sarà coronato da folle acclamanti, anzi (sono previste proteste e si temono disordini). In Scozia, dove il “Remain” è stato sempre maggioritario nonostante gli altalenanti sondaggi nazionali e l’europeismo è un sentimento diffuso tanto quanto l’indipendentismo (fallito il 18 settembre del 2014), la posizione pro-Brexit di Trump viene associata a quella dell’unico leader extra-britannico ad aver preso questo genere di linea: Vladimir Putin, di cui la linea è considerata come una strategia per indebolire l’UE. Se l’investimento annunciato anni fa per creare nel prezioso sito ecologico delle dune costiere di Menie, area qualche decina di chilometri a nord di Aberdeen, “il miglior campo da golf del mondo”, come da Trump stesso annunciato, aveva risollevato gli animi dell’economia locale, in ansia per il suo futuro post-petrolio (i reservoir del Mare del Nord sono i calo), l’atto pratico di come quegli investimenti si sono attuati, con espropri (epica la storia di resistenza del contadino Michael Forbes, “Top Scot” del 2012), consumo di suolo, e poi l’opposizione a un parco eolico off shore, ha portato l’opinione pubblica lontana dalla posizioni del miliardario della Quinta. A dieci anni di distanza da quando annunciò il progetto nel 2006, tra i clamori della gente che bollava i primi oppositori come “neeps” (rape), venerdì nessun leader di partito sarà presente al taglio del nastro, ma anzi la scorsa settimana sulla costa occidentale scozzese dove sorgerà il golf resort trumpiano è spuntata una bandiera messicana, chiaro richiamo satirico alle politiche infiammate del leader repubblicano contro gli immigrati dal sud statunitense. Nemmeno l’ex primo ministro Alex Salmond, leader dello Scottish National Party, storico referente locale per Trump, perché quando guidava il governo scozzese cercava finanziamenti dall’estero a tutti i costi, è più vicino al magnate americano: il rapporto si è inacidito per l’opposizione ostinata – ma perdente – su quel progetto del campo eolico off shore, che avrebbe penalizzato la vista dei golfisti, secondo Trump; nel 2012 l’americano aveva minacciato di interrompere i lavori di costruzione del resort e lasciare tutto un cantiere. Lo scorso dicembre Nicola Strugeon, che ha succeduto Salmond, gli ha addirittura revocato lo status di ambasciatore Global Scot per i commenti sui musulmani, e per la stessa ragione la Robert Gordon University di Aberdeen lo ha spogliato della laurea ad honorem. Il clima in Scozia non è dei migliori per godere della luce che illuminerà il post referendum britannico.
(Foto: Michael Forbes davanti alla sua proprietà nel 2012)