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Il capo dei servizi segreti esteri italiani ha incontrato Assad a Damasco?

Lo scorso fine settimana Alberto Manenti, il capo dell’Aise, ha incontrato Bashar al Assad a Damasco, lo rivela Gulf News attraverso fonti locali che restano anonime. L’incontro tra il direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza estera italiana, ossia i servizi segreti esteri, e il presidente che guida il regime siriano è una notizia importante perché apre davanti a sé vari scenari. Per il momento non ci sono commenti ufficiali da Roma, ma, se confermata (e non è detto che lo sia), la visita discreta potrebbe aver avuto come obiettivo avviare una riqualificazione definitiva del governo siriano nell’ottica della lotta all’estremismo terroristico dello Stato islamico, che tra Siria e Iraq ha piazzato i propri centri di potere da cui dirige e organizza, anche semplicemente con la forza della propaganda e del conseguente indottrinamento, molte delle azioni terroristiche che stanno martoriando il mondo.

LA PRIMA VOLTA DI UN EUROPEO DAL 2011

Si tratta della prima visita in Siria di un alto funzionario di un paese europeo dal 2011: sull’eventuale apertura di una nuova linea di rapporti non può non pesare una sorta di intesa (o meglio, un tentativo di) tra Russia e Stati Uniti. Gulf News aggiunge un ulteriore dettaglio: qualche giorno prima, sempre la scorsa settimana, il capo della sicurezza siriana (la General intelligence) Deeb Zeitoun era volato in visita a Roma via Beirut, dove aveva incontrato i funzionari dei servizi segreti italiani in un meeting riservato tenutosi in un villa privata messa a disposizione dall’intelligence. Il volo di Zeitoun è da sottolineare non solo perché segnerebbe il doppio canale aperto, ma anche perché il generale fa parte dell’ampia lista di notabili del regime siriano sottoposti a sanzioni personali dall’Ue: tra queste, il divieto di volo, che l’ufficiale avrebbe violato per spostarsi in Italia. Queste news non hanno troppe conferme se non quelle riportate dalle fonti al sito del quotidiano edito a Dubai; però anche al Safir, storico giornale libanese (proibito in Siria perché non in linea con la propaganda governativa) ne ha parlato in prima pagina.

AVVICINAMENTI

Quello di Manenti non è il primo di questo genere di tentativi di avvicinamento tra Siria e paesi membri dell’Unione Europea. Secondo il sito emiratino all’inizio dell’estate anche il generale siriano Ali Mamlouk, capo del National Security Bureau, avrebbe effettuato una visita segreta a Berlino: obiettivo, la condivisione di informazioni con l’intell tedesca; anch’egli avrebbe violato le sanzioni dell’Ue. Altra informazione non confermabile, sebbene si sappia dell’attività diplomatica di Mamlouk. È stato per esempio segnalato a Riad, dove ha incontrato Mohammed bin Salman, il ministro della Difesa saudita e uomo forte del regno: la visita è stata mediata dalla Russia, che ha permesso lo spostamento dell’ufficiale siriano; per lui i rumors parlano di un possibile ruolo apicale nella futura riorganizzazione dei vertici del regime, e l’idea non dispiace nemmeno a Mosca. Meno discreta, ma allo stesso modo significata, l’apparizione via Skype della portavoce di Assad Bouthaina Shaaban, che una mesata fa ha partecipato a un dibattito sulla lotta all’estremismo islamico organizzato da un think tank di Washington, e, poco dopo (il 25 giugno), a un altro allo Schiller Institute di Berlino. Anche lei è sotto sanzioni legate alla reazione repressiva del regime alle proteste del 2011 e alla successiva guerra civile.

NORMALIZZAZIONI

Questi contatti, più o meno ufficiali e confermati, sono conseguenza di una nota volontà politica di Damasco. Il governo siriano ricorda da tempo alle controparti europee di avere in mano parecchie informazioni molto utili sui cittadini Ue che sono finiti a combattere tra le forze del Califfato, e chiede, in cambio dell’apertura dei propri archivi alle intelligence europee, la normalizzazione dei rapporti diplomatici con Bruxelles. Le nazioni europee sono così messe in una posizione complicata, perché è possibile che le intelligence siriane abbiano raccolto dati sui foreing fighters partiti dall’Europa, che sono una delle grandi preoccupazione di paesi come Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Italia, in quanto si teme che possano importare quello che viene definito “terrorismo di ritorno” (ossia, rientrati dalla guerra jihadista in Siria o Iraq, colpire, addestrati e organizzati, le proprie terre natali); dall’altro lato della questione, normalizzare i rapporti con Assad significherebbe stendere un velo di pragmatismo molto spesso sugli abusi e i crimini compiuti dal regime contro i civili in questi cinque anni di guerra. Inoltre, va ricordato che non è la prima volta che il governo siriano cerca di vendersi come honest broker agli occidentali: durante la guerra d’Iraq, Damasco si professava un partner della lotta al terrorismo, ma seguiva una doppia agenda facendosi allo stesso tempo protettore dei ribelli sunniti, molti dei quali imprigionati e poi liberati nelle prime fasi delle proteste del 2011 per cavalcare la linea “le opposizioni sono tutti terroristi”, e base logistica per le milizie sciite che combattevano gli invasori americani (ed europei).

C’È UN PIANO ITALIANO?

Restando alle informazioni raccolte tramite fonti locali da Gulf News, Manenti avrebbe esposto ai siriani una specie di programma, garantendo l’avvio di un’iniziativa in ambito Ue, veicolata direttamente dall’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, per abbattere parte delle sanzioni commerciali alla Siria. Questo in cambio dell’avvio di un processo di modernizzazione e democraticizzazione del regime (nota: non si è parlato di “cambio”, pare), i cui risultati dovrebbero essere visibili entro il dicembre del 2016; spostando quindi la data fissata dalla risoluzione Onu 2254, che prevedeva l’avvio di un governo di transizione entro agosto.

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