“Non ci sono evidenze che la Cina abbia esercitato storicamente il controllo esclusivo sulle acque e sulle sue risorse”. Si è espressa così la Corte permanente per l’arbitrato delle Nazioni Unite, con sede a The Hague (in Olanda), in merito al contenzioso territoriale con le Filippine per i diritti sul Mar Cinese Meridionale. Pechino ne rivendicava oltre l’80 per cento, ossia la cosiddetta “linea dei nove tratti” (in rosso nella mappa della BBC), mentre l’Unclos, United Nations Convention on the Law of the Sea, dà delimitazioni diverse in base ai 200 miglia di sovranità nazionale dei vari paesi dell’area. La linea è stata disegnata nel 1947, e come spiega Cecilia Attanasio Ghezzi sulla Stampa, “si allontana oltre duemila chilometri dalle coste cinesi” passando invece molto vicino a quelle di Filippine, Malesia, Brunei e Vietnam. “Una linea tracciata prima della presa del potere del Partito comunista e per questo rivendicata anche da Taiwan”.
I cinesi non riconoscono la corte, e hanno già dichiarato nei giorni precedenti che non ne avrebbero rispettato la sentenza, e questo significa che l’escalation di tensioni nell’area potrebbe raggiungere un nuovo picco: per la Cina non c’è stata una decisione arbitrale, perché Pechino non ha mai partecipato, e dunque si tratta di una conclusione unilaterale della vicenda.
La corte Onu ha praticamente considerato illecite, in violazione della legge internazionale, le azioni con cui Pechino sta rivendicando la sovranità su quei territori, oltre a sottolineare che l’occupazione illegale ha anche provocato danni ambientali alla barriera corallina. Alcuni di questi lembi di terra affioranti dal Pacifico, sono orma diventati famosi: per esempio, le Scarborough Shoal. Spiega Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino del Corriere della Sera che la Cina aveva occupato le Scarborough, “una serie di scogli di fronte alle Filippine (200 chilometri da Manila, 900 dalla coste cinesi. ndr) che Pechino aveva definito isole per poter far valere una zona di controllo di 200 miglia dal loro centro”. Ma “il possesso nazionale di uno scoglio concede solo 12 miglia di mare intorno. Scarborough per la Corte è solo una serie di scogli. Quindi Pechino con la sua azione aggressiva ha torto”. All’aspetto tecnico-terminologico, la distinzione tra isole e scogli fornita dai giuristi dell’Onu, si somma una questione politica, perché in senso più ampio la corte olandese ha taprato le ali “al tentativo cinese di imporsi come potenza globale”.
La volontà geopolitica di Pechino nasconde anche un interesse economico. Le acque degli isolotti (le Paracel, le Spratly) sono piene di materie prime energetiche, ricche di pesce, e soprattutto sono solcate ogni anno da 5 trilioni di dollari di traffici commerciali, ragion per cui controllarle ha un enorme valore strategico. Negli ultimi anni i satelliti hanno segnato il progressivo espandersi dell’opera di militarizzazione cinese: lingue di terra sono diventate porti per i barchini che battono le acque ad armi spiegate e basi aeree in grado di accogliere anche jet da combattimento; operazioni di dragaggio dall’alto valore ingegneristico hanno ampliato le superfici calpestabili degli scogli. Ma ora l’Onu dice che queste attività sono portate avanti dalla Cina senza nessun diritto.
Con la sentenza dell’Arbitrato e con il mancato riconoscimento di legittimità della stessa da parte di Pechino, la situazione regionale diventa ancora più tesa. Nella vicenda sono coinvolti alleati americani, come le Filippine e il Vietnam, o il Giappone nel caso del Mar Cinese Meridionale (contenzioso su cui la decisione dell’arbitrato, la prima del genere, può fare da precedente). Gli Stati Uniti hanno già più volte cercato di marcare la proprie presenza (in funzione di deterrenza) al loro fianco, facendo per esempio solcare quelle acque dai cacciatorpediniere in assetto da combattimento, oppure sorvolare i cieli delle isole contese dai bombardieri strategici B-2 e B52.