Con tutto quello che accade nel mondo e che ci riguarda, eccome, fra gli 84 morti di Nizza falciati da un Tir pieno non di gelati ma di odio per noi occidentali e gli oltre 60 morti di Ankara, dove il presidente turco Erdogan è scampato per un pelo ad un colpo di Stato militare, ordito forse per rendere più efficace la lotta al terrorismo del Califfato condotta solo a parole dal governo, il fatto quotidiano dell’omonimo giornale fondato da Antonio Padellaro e diretto da Marco Travaglio rimane sempre lo stesso. E’ un fatto, rigorosamente minuscolo e di casa, sempre più di palazzo che di gente comune, più di casta –la pur tanto odiata casta- che di popolo. E’ il referendum, peraltro di data ancora incerta, di cui si occupano per adesso i competenti uffici della Cassazione per confermare o bocciare la riforma costituzionale di Matteo Renzi, e della sua ministra Maria Elena Boschi, approvato dal Parlamento con una maggioranza che, pur qualificata, e non semplice, come sostiene l’ineffabile Massimo D’Alema, non è sufficiente ad evitare la verifica degli elettori.
Travaglio informa ossessivamente ogni giorno di quanti punti o decimali si accorciano le distanze sondaggistiche fra il sì alla riforma, attestato ora sul 51 per cento, e il no, “balzato” al 49 nonostante la congiura del “silenzio” operata, sempre secondo Travaglio, dal governo e naturalmente dai giornali al servizio di Palazzo Chigi. Che non mantengono in prima pagina questa vicenda perché presi dalle tragedie che ogni giorno purtroppo si rovesciano sulle redazioni, comprese quelle della lontana Dacca e della più vicina Puglia, ma perché timorosi di ricevere chissà quale sfuriata dal presidente del Consiglio. O di subire chissà quali tagli a chissà quali misteriosi finanziamenti, oltre a quelli legittimi.
Così vanno purtroppo le cose non tanto in Italia, quanto in una “certa Italia”, mi verrebbe voglia di scrivere se non temessi di fare rivoltare nella tomba Giovanni Spadolini, che usava questa espressione per riferirsi ad un paese di segno opposto a quello rappresentato dalle cronache minori, almeno rispetto agli eventi veri che arrivano nelle case indipendentemente dal filtro e dalle scelte del Fatto Quotidiano. Vi arrivano con le immagini televisive, in tempo reale.
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Poiché si è convinto che a fare “balzare” nei sondaggi il no referendario alla riforma costituzionale sia stata la loquacità del presidente del Consiglio e della sua ministra di fiducia, della quale –tanto per non cambiare- cerca ogni tanto di storpiare il nome come misura profilattica di una buona dialettica politica, l’eroe della stampa libera e indipendente è un po’ seccato del fatto, sempre rigorosamente al minuscolo per non confonderlo con la testata del suo giornale, che negli ultimissimi giorni sia Renzi sia la Boschi parlino meno della loro creatura legislativa. Evidentemente distratti pure loro, come i comuni cittadini turlupinati dalla stampa né libera né indipendente, dalle tragedie che arrivano in diretta da regioni o paesi vicini e lontani.
Via, carissimo Renzi e carissima Boschi, tornate a parlare della vostra presunta “schiforma”, come la chiama Travaglio sempre per l’abitudine di storpiare il nome alle cose, oltre che alle persone. Parlatecene anche se –sospetto – non sapete ormai che dire, dopo tutto ciò che avete detto ed anche contraddetto, direttamente o indirettamente, lasciandole dire e scrivere, in quest’ultimo caso, da retroscenisti più o meno autentici senza opporre smentite o precisazioni.
Come già accennavo, non si riesce più a capire quando effettivamente si potrà votare: se davvero il 9 novembre, come recentemente annunciato dal presidente del Consiglio nonostante il pericolo di sovrapposizione, o quasi, con le elezioni americane dell’8 temuto, denunciato e confermato in una cortese lettera a Formiche.net dall’autorevole inviato del Corriere della Sera Aldo Cazzullo, o ancora più avanti per approvare la legge di cosiddetta stabilità finanziaria e metterla al riparo dal rischio di una crisi di governo per effetto della vittoria del no tanto auspicata da Travaglio.
Ma anche su questa maledetta crisi di governo per una eventuale bocciatura della riforma costituzionale non si riesce più a capire granché. Non si riesce più a capire, per esempio, se il minacciato “ritorno a casa” di Renzi sia il ritorno a Rignano, località toscana, o in via del Nazareno, strada romana dove Renzi dispone dell’ufficio di segretario del Partito Democratico. O persino il ritorno a Palazzo Chigi, se il capo dello Stato, come mi risulta che sia tentato di fare, ricevute le dimissioni del presidente del Consiglio ed eseguite le abituali consultazioni al Quirinale, dovesse rimandarlo alle Camere per fargli confermare la fiducia. Che Renzi potrebbe accettare per il solito dovere d’ufficio, senso di responsabilità e quant’altro, visto anche ciò che è successo e probabilmente continuerà a succedere attorno a noi, se non anche da noi.
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Al carattere surreale di questo scenario non si sottrae neppure la polemica scontata sul passaggio con Denis Verdini del vice ministro dell’Economia Enrico Zanetti e di altri tre colleghi deputati della ormai fantomatica Scelta Civica fondata da Mario Monti per le elezioni politiche del 2013.
Alla solita minoranza del Pd, affrettatasi a chiedere le dimissioni di Zanetti dal governo per evitare che Verdini possa vantarsi di farne ormai parte pure lui con la sua Ala allargata, Renzi ha fatto rispondere come neppure Maurizio Crozza avrebbe avuto forse la fantasia di fargli dire. Che cioè “a quale gruppo parlamentare appartenga Zanetti non importa”, continuando invece ad essere importante “la competenza” che ne procurò prima la nomina a sottosegretario e poi la promozione a vice ministro.