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Che cosa dice davvero lo studio Agcom su WhatsApp

Angelo Marcello Cardani

“Nessuna ‘proposta’, solo discussione delle varie tesi nel dibattito in corso”; “Agcom non ha proposto niente del genere… rinvio al testo complessivo”. I tweet del commissario Agcom Antonio Nicita in risposta a una serie di notizie circolate sul web sulla presunta “proposta” dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di “tassare” le app di messaggistica mobile come Whatsapp sono indicative della bufera scatenatasi su Agcom all’indomani della pubblicazione dei risultati della “Indagine conoscitiva concernente lo sviluppo delle piattaforme digitali e dei servizi di comunicazioni elettronica”. Dovremo pagare gli iper-utilizzati e gratuiti servizi entrati nel nostro modo di comunicare quotidiano (WhatsApp, Facebook Messenger e Skype i più popolari in Italia, usati quasi quotidianamente da giovani e meno giovani), a danno di telefonate e Sms che facevano guadagnare le aziende telecom?

LA SMENTITA E L’INDAGINE

“I fornitori di servizi di messaggistica istantanea non sono stati autorizzati ad attingere al credito telefonico degli italiani. Tra le misure ipotizzate per risolvere le eventuali criticità esistenti negli accordi d’interconnessione tra operatori di rete e fornitori di servizi di messaggistica istantanea vi è quella che questi ultimi remunerino l’utilizzo delle infrastrutture. Il fine è quello di promuovere gli investimenti sostenuti dagli operatori di rete che sostengono l’ingente quantità di traffico dati che i servizi a valore aggiunto generano”, ha chiarito Agcom presieduta da Angelo Cardani smentendo le notizie circolate sui media.

Anzi, nelle conclusioni dell’indagine Agcom scrive che le app di messaggistica (consumer communications services o “app di comunicazione sociale”, applicazioni che consentono lo scambio di contenuti vocali, messaggi, foto e video fra due o più utenti, per lo più utilizzate da device mobili) comportano “una maggiore domanda di servizi di connessione dati, a vantaggio degli Internet Service Provider e degli operatori di rete, che a sua volta conduce alla realizzazione di reti più avanzate e da ultimo allo sviluppo di servizi più innovativi, avviando un circolo virtuoso che funge da stimolo agli investimenti a tutti i livelli della filiera produttiva”.

Tuttavia la presenza di nuovi player cambia le dinamiche concorrenziali e richiede un aggiornamento al regolatore. Che, a livello nazionale ed europeo, studia le varie possibilità sul tavolo.

SEMPRE PIU’ WHATSPP, SEMPRE MENO SMS

Lo studio di Agcom, spiega l’autorità, si inquadra in un contesto in cui, nel corso degli ultimi anni, l’ampia diffusione di servizi di accesso a banda larga fissa e mobile ha stimolato lo sviluppo di una serie di nuovi servizi e di terminali evoluti, accrescendo la domanda di accesso ad Internet degli utenti e stimolando, di conseguenza, anche gli investimenti in capacità della rete e lo sviluppo di nuovi servizi ed applicazioni.

L’indagine ricostruisce il quadro giuridico e regolamentare di riferimento per queste app, chiedendosi se resta valida e attuale la definizione vigente di Electronic Communications Services (ECS), e analizza il contesto tecnologico e di mercato nel quale tali servizi si sono diffusi. In pratica: si sono moltiplicati gli utenti di app sociali, mentre sono crollati quelli che fanno uso di telefonate e, soprattutto Sms, e, se è vero che questo nuovo quadro favorisce la nascita di nuovi servizi e modelli di business, è anche vero che tutto viene sostenuto dalle reti di telecomunicazione in cui investono per ora solo o principalmente le telco.

NECESSARIO UN LEVEL PLAYING FIELD

Sulla base di questa analisi del contesto di mercato e dell’impatto della diffusione dei servizi di app sui servizi tradizionali di comunicazione, l’indagine Agcom “rivela l’opportunità di considerare in ambito europeo una nuova formulazione di servizi ECS, strumentale all’eventuale adozione di un level playing field fra i diversi attori in campo”, e descrive le principali misure potenzialmente applicabili.

L’indagine passa in rassegna le possibili opzioni regolatorie in ambito europeo e nazionale, evidenziandone rischi e opportunità, “ma non impone, né avrebbe potuto imporre data la natura conoscitiva della medesima, alcuna misura specifica in capo agli operatori OTT, come erroneamente anticipato da alcuni organi di stampa, tantomeno oneri economici in capo a soggetti attualmente estranei all’attività regolamentare dell’Agcom”, ha detto l’Autorità. L’indagine vuole solo essere uno “strumento di approfondimento e quindi una riflessione aperta su un tema attualmente al centro del dibattito europeo”.



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