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Vi spiego in sintesi cosa cambia con la riforma costituzionale

La legge di riforma costituzionale formalmente riguarda quarantasette articoli, ma nella sostanza ne modifica soltanto sei:

– l’articolo 55 sulla composizione del Parlamento
– l’articolo 57 sul Senato
– l’articolo 70 sulla funzione legislativa
– l’articolo 94 sulla fiducia al Governo
– l’articolo 114 sulle Province
– l’articolo 117 sulle competenze legislative delle Regioni.

Le altre modifiche sono essenzialmente lessicali o consequenziali.

Il cuore della riforma è la modifica di un tratto della struttura orizzontale (il bicameralismo) e di un tratto della struttura verticale dello Stato (il regionalismo). La proposta di riforma contiene anche altre disposizioni importanti, come la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) e della garanzia costituzionale delle Province. Tra le riforme ulteriori, segnalo la previsione secondo la quale il governo può chiedere la priorità per l’approvazione di disegni di legge, con il vincolo di approvazione in 70 giorni. Ciò eviterà il gran numero di decreti – legge che poi il Parlamento ratifica, e rende più spedita l’azione legislativa.

1. Superamento del bicameralismo perfetto

Per il primo punto viene introdotto un monocameralismo temperato dal fatto che resta un Senato ridotto nei compiti e nella struttura. Il bicameralismo, con “due rami del Parlamento eguali nell’autorità”, fu sostenuto in particolare da De Gasperi. Secondo De Gasperi, “la questione bicamerale è veramente essenziale perché contiene un principio di equilibrio”. De Gasperi era dominato dal timore che l’equilibrio politico prodotto dalle elezioni del 1946 fosse destinato a continuare e voleva “gettare sabbia nelle ruote”. Le elezioni del 1948 fugarono questi suoi timori.

Per capire i motivi della modifica, è utile esaminare le ragioni storiche del bicameralismo nei diversi ordinamenti. Esso risponde a quattro diverse esigenze:

a. l’esigenza di rappresentare le classi diverse della società: i pari e i comuni, nobili, religiosi e borghesia. È il classico bicameralismo inglese;
b. l’esigenza di riflettere la divisione tra popolo e Stati, come nel bicameralismo americano;
c. l’esigenza di rappresentare in una camera gli interessi economici e sociali e nell’altra gli interessi politici, come nella proposta Mortati per la Costituzione, proposta che non venne approvata;
d. l’esigenza di svolgere quella funzione che gli studiosi di ingegneria chiamano di ridondanza e che Mortati all’Assemblea Costituente chiamò “ritardatrice”. Se Paolo è ubriaco, Pietro sobrio ne corregge l’azione.
Queste quattro esigenze, per vari motivi, si sono lentamente esaurite nel tempo. Le società non sono più divise in classi, gli interessi economici debbono trovare uno sbocco politico, la funzione di correzione e bilanciamento è svolta più efficacemente dal Parlamento europeo e dai consigli regionali. Resta, limitata, l’esigenza di dare una voce costituzionale alle regioni, ciò a cui provvede la riforma adottata dal Parlamento.

2. Ridisegno del regionalismo

Per quanto riguarda il secondo punto, la riforma non modifica la Costituzione nel suo testo originario. La Costituzione del 1948 aveva un altro disegno dei rapporti tra Stato e Regioni, con un taglio molto più centralistico. Fu modificata nel 2001 spostando l’asse verso le Regioni. In seguito, sui rapporti tra Stato e Regioni è intervenuta una giurisprudenza di circa quindici anni della Corte Costituzionale. Questa, ricorrendo alle clausole relative all’ordinamento civile, alla tutela dell’ambiente, alla tutela della concorrenza, ha ricondotto molti compiti nelle mani dello Stato.

Quindi l’attuale riforma costituzionale opera su un tessuto sul quale si era già ampiamente intervenuti. Opera sulle materie di competenza concorrente, cioè ripartita tra Stato e Regioni, dividendole: il potere di emanare norme generali e comuni è attribuito allo Stato, la parte restante alle Regioni.
Ma sostanzialmente questo era già scritto nella disciplina sulla competenza condivisa: la riforma non fa altro che ripartire in maniera più chiara le competenze fra Stato e Regioni.

Seconda parte dello studio “Cinque domande sulla riforma della Costituzione” (qui si può leggere la prima) a cura del giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese e pubblicato da Assonime (Associazione fra le Società Italiane per Azioni) (qui il pdf completo)



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