Nel pomeriggio di oggi, sabato 23 luglio, alla Florida International University di Miami (una di quelle col più alto numero di studenti ispanici), Hillary Clinton presenterà ufficialmente il suo vicepresidente, Tim Kaine, senatore di 58 anni, molto popolare nel partito e nel paese, ex governatore di uno Stato chiave per la vittoria presidenziale come la Virginia. “Una scelta sicura e noiosa”, scrive il New York Magazine, ma poi aggiunge “sulla buona strada”. Kaine è considerato affidabile, competente, esperto (è stato anche presidente del Partito Democratico).
I’m thrilled to announce my running mate, @TimKaine, a man who’s devoted his life to fighting for others. -H pic.twitter.com/lTVyfztE5Z
— Hillary Clinton (@HillaryClinton) 23 luglio 2016
LA SCELTA IN VISTA DELLA PRESIDENZA
Il New York Times commenta che, con la decisione su Kaine, Clinton ha pensato soprattutto al futuro della presidenza, come se avesse già vinto, e non alla corsa elettorale; “se avesse pensato a vincere soltanto avrebbe scelto il senatore Sherrod Brown” o Tom Vilsack, che vengono rispettivamente dall’Ohio e dall’Iowa, Stati chiave, dati dai sondaggi ancora in sospeso tra repubblicani e democratici, oppure Elizabeth Warren, di cui ha già avuto il pieno endorsement, ma che sarebbe stata una calamita per i voti più a sinistra. “Il suo [di Kaine] valore è quasi interamente di governo – di quello che può fare per la signora Clinton alla Casa Bianca, piuttosto che alle urne”, scrive il Nyt, ed evidentemente lei non cerca un asso elettorale, ritenendo la sua squadra già forte. Unico compito nella campagna per Kaine sarà vincere il dibattito tra vicepresidenti (programmato per il 4 ottobre, proprio in Virginia): il suo ruolo sarà affossare Mike Pence, il vice scelto da Donald Trump, utilizzando gli anni di esperienza nel Senate Foreign Relations Committee e nell’Armed Services Committee, mettendo a nudo i lati deboli della visione trumpista in politica estera. Per certi versi la scelta di Clinton è una risposta forte, immediata alle polemiche che il primo discorso di Trump, nel giorno dell’incoronazione alla convention di Cleveland, e la precedente intervista al NYTimes si sono portati dietro. Su tutto lo strappo con la Nato, il proxy utilizzato dal miliardario repubblicano per ridisegnare la sua immagine dell’America nel mondo: “Penso all’americanismo, non al globalismo”, ha detto Trump, mettendo in discussione il ruolo storico di paese chiave negli equilibri mondiali degli Stati Uniti.
UN BUON SOLDATO
Senza il carisma per trascinare le folle, Kaine è laureato in legge a Harvard, sposato, cattolico (non approva l’aborto, ma ritiene che debba esserci libera scelta personale), uno dei tre figli in servizio attivo nei Marines, schivo e lontano dalle luci della ribalta, in grado di mettersi un passo indietro e uscire dai riflettori dei Clintons (l’entourage di Bill Clinton fa sapere ai giornali americani che la scelta è stata completamente avallata dal marito della futura presidente, e qualche commentatore sostiene anche che il nome di Kaine sia uscito pure perché nelle grazie del futuro First Gentleman). La presenza di Kaine nel ticket è una rassicurazione per le fasce più moderate del partito, ma le sue posizioni sul controllo delle armi e sull’espansione della riforma sanitaria di Barack Obama (nel 2008 è stato vicino ad esserne il vice) potrebbero essere anche una chiave per arrivare all’elettorato che ha sostenuto in precedenza il candidato più progressista Bernie Sanders.
Just got off the phone with Hillary. I’m honored to be her running mate. Can’t wait to hit the trail tomorrow in Miami!
— Senator Tim Kaine (@timkaine) 23 luglio 2016
DUE PESI MASSIMI DELLA POLITICA ESTERA, IN DISCONTINUITA’ CON TRUMP
Il sito specializzato Defense News definisce il ticket Clinton-Kaine “due pesi massimi della politica estera” e trova in questa chiave di lettura una forza politica superiore a quella del duo Trump-Pence, nonché un grande punto di discontinuità; poi, chiaro, spetterà agli elettori scegliere se preferire di annacquare il ruolo americano nel mondo, oppure, sotto la linea Clinton, magari rafforzarlo ulteriormente. Dal Comitato Servizi armati del Senato, Kaine ha appoggiato le scelte dell’Amministrazione nella lotta contro lo Stato islamico, per esempio, ma ha anche espresso critiche chiedendo un maggiore impegno americano, e ha sposato, insieme a Clinton, il progetto per la creazione di buffer zone umanitarie in Siria (un progetto di vecchia data, ancora molto in discussione e su cui pesa il ruolo degli attori regionali). Gli Stati Uniti dovrebbero puntellare tutte le democrazie del mondo, adottare approcci duri contro i regimi autoritari, sconfiggere i “non-stati” se serve anche con l’uso della forza militare; sono alcune delle visioni espresse dal senatore Kaine nel corso degli anni, sulla linea di una visione storica americana bipartisan, rotta dall’ascesa isolazionista di Trump. All’inizio di questo mese Kaine è stato tra i 14 senatori di entrambi i partiti che hanno firmato una lettera al segretario alla Difesa Ash Carter chiedendogli di ribadire il suo impegno nella modernizzazione dell’arsenale nucleare americano; un dossier che sarà sul tavolo del prossimo presidente. Altro punto di discontinuità con la policy repubblicana attuale: Kaine è aperto alla riforma moderata dell’immigrazione regolare, contro un Trump che promette di costruire muri e chiudersi, parla molto bene lo spagnolo (“Estamos listos para Hillary” ha detto qualche tempo fa in un incontro in Virginia), ed è un punto in più per chi vuol vincere le elezioni, visto che la comunità ispanica negli Stati Uniti rappresenta una bella fetta di elettorato. Altra discontinuità: Kaine è favorevole al TTP (il Trans-Pacific Partnership), ossia gli accordi commerciale con i paesi del Pacifico. Una posizione che piace meno ai dem più progressisti, per questo Hillary, che li ha sempre sostenuti insieme a Obama, ora adotta un atteggiamento più cauto, e, in un altro ribaltamento storico portato da Trump, non piace ai repubblicani americani, che con l’arrivo di The Donald hanno preso una direzione contraria “a questi trattati e alla globalizzazione in generale”, come ha spiegato Francesco Costa sul Post.