C’è una controstoria che raccontano nei corridoi dei Sacri Palazzi, e che non ha elementi per essere suffragata. Ma gira da tempo, ed è tornata in auge dopo le dimissioni di Carlo Salvatori (in foto) e Klemens Boersig dal board dell’Istituto per le Opere di Religione, lo Ior, la “banca” vaticana.
QUANDO FRANCESCO ANDO’ ALLO IOR
È il 24 novembre 2015, e il Consiglio di Sovrintendenza (il board della banca, appunto), secondo questa controstoria riceve una visita del Papa. È il giorno in cui alle ore 10.30 Francesco varca il portone del Torrione di San Damaso, sede dell’Istituto, e – ricorda una nota vaticana – “si intrattiene con la sovrintendenza per una ventina di minuti”. Va a portare la nomina del nuovo direttore generale Gian Franco Mammì, al posto di Rolando Marranci nominato il 30 novembre 2013 in quanto consulente del team Promontory, chiamata a passare al setaccio i conti vaticani secondo le richieste di Moneyval, l’antiriciclaggio europeo. Mammì, messinese, 59 anni, ha passato la sua intera carriera allo Ior dov’è entrato nel 1992 e dove, come l’Istituto sottolinea in quell’occasione, “negli ultimi 23 anni ha maturato una vasta esperienza in diverse posizioni, lavorando con i clienti italiani e latino-americani dell’Istituto in veste prima di Client Relationship Manager e poi di vice responsabile dell’Ufficio Commissioni”.
20 MINUTI PER UNA CACCIATA MANCATA
Ecco, sarebbero questi i 20 minuti nel corso dei quali, secondo la controstoria che viene raccontata nei Sacri Palazzi, Francesco avrebbe chiaramente chiesto al board della Banca le dimissioni in blocco (discorso diverso per il direttore generale, che a termini di Statuto può essere assunto a tempo determinato o indeterminato, segno che Mammì era dunque il primo tassello verso una nuova dirigenza Ior). Una richiesta secca, si racconta, accolta dall’imbarazzo generale. Il Papa, molto semplicemente, non ci starebbe più. Non condividerebbe cioè l’attività del board, troppo a immagine e somiglianza di George Pell, il Segretario per l’Economia e “ministro delle finanze” che peraltro è stato proprio lui a scegliere e nominare. Pell che in quel periodo inizia a scricchiolare: già a giugno 2015, nel silenzio generale della stampa italiana, qualcuno ha parlato dei suoi problemi con la Royal Commission chiamata a investigare sugli abusi sessuali del clero in Australia (ma Pell non è indagato, anche se poi è finito nel mirino della polizia dello stato australiano del Victoria per presunti abusi sessuali, accuse stavolta rivolte a lui, alla fine di luglio 2016), ma è solo l’inizio. Sono appena passati 19 giorni soltanto dalla pubblicazione, il 5 novembre 2015, di Via Crucis di Gianluigi Nuzzi ed Avarizia di Emiliano Fittipaldi; ed in quest’ultimo volume si parla delle spese quantomeno opinabili dell’entourage di Pell, spese non certo in linea con la Chiesa “povera per i poveri” sognata dal Papa argentino.
LO SCOPPIO DI VATILEALS 2
Insomma, le premesse perché Francesco prenda una decisione del genere ci sarebbero tutte. I documenti, del resto, sono quelli e sono veri. Sono così veri che la magistratura vaticana finisce per mettere sotto inchiesta in quei giorni i giornalisti autori dei due volumi, più le due presunte talpe: Francesca Immacolata Chaouqui da San Sosti (CS), detta “la papessa”; e monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, uomo targato Opus Dei e che finirà nell’ingranaggio mediatico-giudiziario del processo. Sembra che il processo debba essere rapido e con una conclusione prima dell’8 dicembre, giorno dell’apertura dell’Anno Santo della Misericordia, ma si sfilaccia, sbroda e allunga così tanto al punto che si è concluso a giugno 2016. Ma questa è un’altra storia
SALVATORI E BOERSIG SE NE VANNO
Come dicevamo, la clamorosa richiesta del Papa passa per il momento sotto silenzio e gela i diretti interessati. Meno due, evidentemente: il primo è Boersig; l’altro è Salvatori, che con Pell ha costruito un ottimo rapporto. Sono stati loro, nel maggio 2015 insieme a Boersig, secondo Vatican Insider, a proporre l’idea di una Sicav, una Società d’investimenti a Capitale Variabile in Lussemburgo (paradiso fiscale) che gestisca le finanze dello Ior. Peccato che l’Uomo di Santa Marta, ossia il Papa, non apprezzi l’idea. E la bocciatura papale arriva senza remissione di peccato.
A LENTA COTTURA
Francesco, dice chi lo conosce bene, non è uomo da decisioni fulminee e nette se non quando viene messo spalle al muro dagli eventi. Ma un Gesuita di razza non si fa cogliere spalle al muro, e lui lo è. Adotta invece un metodo differente, che forse – passateci la battuta – ha imparato negli anni ’70 quando la domenica doveva far da mangiare a 20 persone al Colegio San Miguel in quel di Buenos Aires. Il metodo è molto semplice: ti lascio cuocere in brodo, poi però a tempo debito intervengo. E il preavviso di sfratto, infatti, arriva. Il Papa non ha voluto la Sicav; il Papa non condivide le uscite di Pell; il Papa non “copre” più un board a immagine e somiglianza del cardinale che comincia ad essere chiacchierato; ed ecco allora che chi deve capire capisce, compie dignitosamente il suo dovere (parliamo di due banchieri di altissimo livello, già che ci siamo), saluta e se ne va. Quello che hanno fatto Boersig e Salvatori a maggio di quest’anno.
E ADESSO?
Qui finisce la nostra controstoria. Adesso il problema resta quello di capire che cosa ne sarà di Pell, e quindi del board dello Ior. Perché i casi sono due: o si prova ad andare avanti per un po’, magari con due nuovi membri chiamati appositamente per lo scopo (ma un board che ha compiuto un atto non nell’agenda del Papa, può ancora durare?, ci si chiede Oltretevere); oppure, magari quando farà più caldo (a livello meteorologico, s’intende), con l’arrivo di Settembre, potrebbe nascere una nuova presidenza dello Ior con annesso board. E allora sì che saremmo a cinque presidenti in sette anni, praticamente un record. Quasi come certi presidenti di squadre calcistiche nostrane (a voi la scelta).
(Quinta e ultima puntata di un approfondimento di Antonino D’Anna. Leggi qui la prima, la seconda, la terza e la quarta puntata)