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Che cosa succede nel Pd?

Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi

Il senatore post-comunista Ugo Sposetti è già insofferente di suo per la cattiva abitudine delle sezioni del partito di non pagare l’affitto dei locali che occupano, di proprietà di 56 fondazioni nelle quali i  diffidenti Ds-ex Pci riversarono prudentemente i loro patrimoni immobiliari prima di confluire con la ex sinistra democristiana nel Pd.

Sposetti è a tal punto insofferente, come tesoriere o punto di riferimento di quelle fondazioni, da avere appena manifestato pubblicamente la tentazione di sfrattare tutti i morosi, come un buon “amministratore di condominio”, fra lo stupore dell’amministratore nazionale del Pd, il renziano Francesco Bonifazi. Che ha declassato a fatti di competenza locale le inadempienze delle sezioni e non ha voluto dare alcuna smentita o precisazione all’altra “nefandezza” denunciata da Sposetti: l’imminente passaggio da cassintegrati a disoccupati dei dodici dipendenti dei Ds ereditati dal Pd.

Figuratevi come sarà rimasto male, il povero e simpatico senatore, che ricorda con orgoglio il suo passato comunista, nel vedere relegato a pagina 10 dell’Unità di sabato 20 agosto, senza uno straccio di richiamo in prima, un articolo di Marco Macciantelli in ricordo di Palmiro Togliatti. Che fu lo storico segretario del Pci del secondo dopoguerra, tornato da Mosca nel 1944 appunto per dirigerlo in sintonia con gli interessi politici e le direttive di Stalin. Direttive che l’anno dopo compresero il rispetto della spartizione dell’Europa  concordata a Jalta fra le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale. L’Italia fu notoriamente assegnata al campo occidentale, per cui il Pci sarebbe stato destinato a livello nazionale all’opposizione per quello che molti anni dopo Alberto Ronchey avrebbe definito “il fattore K”, cioè il fattore comunista di osservanza sovietica.

Fu proprio a Jalta, località marina di vacanza in Crimea, che Togliatti morì il 21 agosto del 1964, due giorni dopo il decimo anniversario della scomparsa, in Trentino, del suo antagonista italiano Alcide De Gasperi. Di cui egli era stato ministro della Giustizia solo per poco tempo, fino all’esclusione del Pci dal governo, nel 1947, dopo la storica scissione socialista di Palazzo Barberini e un viaggio dello stesso De Gasperi negli Stati Uniti, in sostanziale esecuzione proprio degli equilibri internazionali concordati in Crimea. Eppure Togliatti nelle elezioni politiche dell’anno successivo, fingendo ancora di ignorare la realtà internazionale nella quale era chiamato a muoversi anche il suo partito, lanciò a De Gasperi la famosa e infelice sfida di cacciarlo a calci nel sedere dalla guida del governo se il fronte unito della sinistra avesse vinto le elezioni. Ma gli italiani, più consapevoli della realtà, tolsero da ogni impaccio Togliatti, e Stalin, dando la maggioranza assoluta dei voti alla Dc degasperiana.

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Certo, di acqua n’è passata sotto i ponti italiani, e del mondo, dalla morte di Togliatti, e ancor più da quella di De Gasperi, ma del leader comunista il giornale del Pd, cioè di un partito dove Matteo Renzi ha messo in minoranza –diciamo la verità- la già decadente cultura marxista, non può fare a meno di celebrare la famosa “doppiezza” in termini non critici ma storici, come di una necessità imposta dalle circostanze. Ed anche la grande cultura, che sicuramente non gli mancò. Egli ne diede prova una volta all’Assemblea Costituente, in polemica col compagno di partito Concetto Marchesi a proposito dell’articolo 7 sul Concordato, con un discorso che impressionò pure l’esigentissimo Benedetto Croce, procurandosene gli elogi. Una cultura elitaria che tuttavia si coniugò con una popolarità capace di riempire le piazze da vivo e da morto. Impressionante fu il tributo di popolo all’arrivo della sua salma dall’Unione Sovietica.

Questi ricordi non possono tuttavia prescindere dagli aspetti davvero negativi dell’azione di Togliatti: dalla gestione autoritaria del partito, con la formula del famoso “centralismo democratico”, che adesso qualcuno riesce disinvoltamente a ritenere addirittura meno duro della gestione renziana del Pd, ad un appiattimento tale sulle posizioni dell’allora Unione Sovietica che Giorgio Napolitano avrebbe poi confessato di essersi ad un certo punto sentito chiuso come in una “gabbia”.

Quando si preparò e nacque il centrosinistra, con l’alleanza di governo fra la Dc e il Psi, Togliatti non fu minimamente tentato dall’idea di dare in qualche modo una mano ai socialisti perché riuscissero a realizzare una politica più di sinistra possibile, come sarebbe stato logico attendersi da una forza condannata realisticamente all’opposizione in quel quadro internazionale. Egli volle e praticò contro i socialisti una linea di attacco e di demonizzazione che i suoi successori vollero e seppero portare avanti ancora più di lui, sino a preferire Bettino Craxi in galera, o “latitante” in Tunisia, piuttosto che cercare di ricomporre con lui l’unità socialista dopo il crollo del comunismo.

Lo stesso compromesso storico di Enrico Berlinguer era nato in funzione di aggiramento e di assedio dei socialisti, fra le inutili resistenze e critiche della minoranza aperta al Psi e guidata da Napolitano.

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Poiché non poteva forse sottrarsi, specie in questo momento di tensione nel Pd per il passaggio referendario d’autunno sulla riforma costituzionale, al dovere di un omaggio a Togliatti, il direttore renziano dell’Unità lo ha prudentemente lasciato all’interno del giornale, senza reclamizzarlo in prima pagina. Dove d’altronde il giorno prima, a 62 anni della morte, non è comparso neppure il nome di Alcide De Gasperi. Eppure a dargliene l’occasione, o il pretesto, c’era un discorso rievocativo pronunciato in Trentino dall’uomo del Pd più alto in grado nelle istituzioni, e di provenienza democristiana: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Strano destino quello di Togliatti e De Gasperi nella storia della politica italiana: costretti a inseguirsi anche da morti.


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