Questa riforma nasce dalla drammatica crisi dell’avvio della XVII legislatura. Le elezioni del febbraio 2013 consegnano un sistema politico improvvisamente divenuto tripolare: il Pd e i suoi alleati, il Popolo della libertà e la Lega, il nuovo Movimento 5Stelle si ripartiscono i voti in misura quasi equivalente. Fallisce l’ambizione di costruire un ulteriore polo intorno alla figura del presidente del Consiglio uscente Mario Monti, senatore a vita cui era stato affidato il compito difficile e impopolare (per le misure da prendere) di fronteggiare la crisi del debito pubblico italiano, derivante a sua volta dalla crisi finanziaria mondiale e dall’insipienza e dall’incapacità di reagirvi del IV governo Berlusconi. A parte la maggior difficoltà di governare un sistema politico tri- o multipolare (rispetto a uno bipolare), la presenza di tre grandi forze parlamentari in sé non sarebbe stata un dramma.
Se non che: (A) la combinazione bicameralismo paritario-legge elettorale Calderoli (quella del 2005, voluta dal centro-destra berlusconiano) aveva prodotto uno squilibrio fra Camera e Senato; la vittoria (di misura) del Pd di Bersani aveva portato a una Camera con maggioranza Pd – Sel (ma Sel andò subito per conto proprio, in barba agli accordi preelettorali) e un Senato nel quale, invece, il Pd aveva (ed ha) solo un terzo dei componenti; (B) soprattutto si vide subito che il M5S, forte all’inizio di 108 deputati e 54 senatori, non era è disponibile ad alcun tipo di collaborazione in vista del governo del Paese: né col Pd né con Pd e Popolo delle libertà. Questo rese subito difficile la formazione di un qualsiasi governo, nonostante gli sforzi iniziali di Bersani.
Si arrivò così alla scadenza del mandato del presidente Napolitano. Alle votazioni per l’elezione del nuovo presidente il Pd non fu in grado di sostenere compattamente un proprio candidato da votarsi (necessariamente) con le altre forze politiche: caddero sia Marini sia Prodi. A questo punto tutte le forze politiche, tranne M5S e Lega, si rivolsero a Napolitano chiedendogli di accettare – per la prima volta nella storia – un secondo mandato. Napolitano accettò ma premettendo che non intendeva restare per tutto il settennato (per ragioni di età) e che condizionava la sua disponibilità al fatto che la legislatura fosse stata dedicata alle riforme anche costituzionali, sulla base di una collaborazione fra forze di centro-sinistra e di centro-destra (cioè Pd, Scelta civica, Popolo delle Libertà).
Nasce così il Governo Letta. E viene costituita una speciale Commissione di 42 esperti (tutti accademici, qualcuno con precedente militanza politica), presieduta del Ministro per le riforme Gaetano Quagliariello che rassegnerà le sue conclusioni il 17 settembre 2013: esse saranno la base del successivo progetto del Governo Renzi. Nel contempo si avvia una proposta di revisione dell’art. 138 Cost. per assicurare (come nel 1993 e nel 1997) un percorso accelerato e con referendum conclusivo della revisione della Parte Seconda della Costituzione. Questo progetto verrà approvato da Camera e Senato ma poi abbandonato: infatti il tentativo di collaborazione governativa e per le riforme fra Pd e Popolo delle Libertà naufraga a causa della vicenda della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore (in ossequio alla c.d. Legge Severino e comunque alla sua condanna in sede penale per reati tributari).
Così Berlusconi si tira fuori e il Popolo delle libertà si divide: rinasce Forza Italia (che va all’opposizione) e nasce il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, che raccoglie i parlamentari (e i ministri) dell’ex Popolo delle Libertà che vogliono continuare la collaborazione di governo e per le riforme. Dalle c.d. larghe intese si passa a una specie di piccola intesa, comunque sufficiente (di poco) a garantire la maggioranza (forte alla Camera grazie al premio, debole al Senato).
L’8 dicembre 2013 Matteo Renzi vince le primarie e diventa segretario del Pd. Negli stessi giorni la Corte costituzionale decide che la legge elettorale del 2005 (quella voluta da Berlusconi, Casini e Calderoli) è incostituzionale in due punti chiave (il premio, la mancanza di preferenze, vedi 15. e 16.). Renzi, anche per questo, rilancia immediatamente la strategia delle riforme e persegue – limitatamente a questa – un’intesa con Berlusconi, il quale si trova nel momento di massima debolezza e vede questa come l’unica opportunità di continuare a contare qualcosa. Nasce il c.d. patto del Nazareno, nome giornalistico derivante dal fatto che il primo solenne incontro fra Berlusconi e il neosegretario Pd Renzi avvenne presso la sede del Pd, appunto in via del Nazareno a Roma.
Berlusconi e Renzi raggiungono un accordo che ha per oggetto: legge elettorale, riforma costituzionale (limitatamente a bicameralismo e revisione del titolo V più punti minori). Subito dopo (febbraio 2014) Renzi sostituisce Letta alla guida del governo per assumersi in prima persona la responsabilità delle riforme in una fase in cui l’esecutivo appariva appannato e senza iniziativa (in questo modo si realizza una prima importante riforma di fatto: il leader del maggior partito di governo è anche presidente del Consiglio, come previsto – del resto – dallo Statuto del PD, se il partito governa naturalmente). L’intesa Renzi Berlusconi ovvero Pd/Popolo delle Libertà (oltre che Ncd) durerà fino al gennaio 2015 ed è stata alla base sia della nuova legge elettorale (Italicum) sia della riforma costituzionale sottoposta a referendum. La riforma sarà votata da tutta la maggioranza di governo e da tutto il centro-destra fino all’approvazione (in prima lettura) al Senato: non proprio il testo definitivo, ma quasi. Da ricordare che la stessa Lega ha un atteggiamento costruttivo (Calderoli stesso, al Senato, è correlatore con Angela Finocchiaro).
Si può dunque dire che la riforma costituzionale è figlia della determinazione del presidente Napolitano, dell’elezione a segretario di Renzi e della sua iniziativa politica, nonché dell’intesa fra Pd, suoi alleati di governo (centristi vari e Ncd) e Forza Italia.
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