Per due volte negli ultimi giorni gli aerei americani della Coalizione internazionale sono intervenuti nel quadrante nord orientale della Siria in missioni di superiorità aerea contro i caccia lealisti.
Nell’area della città di Hasaka i governativi del regime sono impegnati in un’inedita campagna di bombardamenti contro i miliziani curdi che nell’ambito del raggruppamento Syrian Democratic Force (SDF) stanno combattendo lo Stato islamico. Le SDF ricevono la consulenza sul campo delle forze speciali statunitensi. Proprio alla presenza di queste unità di US Special Forces si deve la missione aerea americana: le bombe che i caccia inviati da Damasco stanno sganciando hanno picchiato anche in postazioni “vicinissime” a quelle degli uomini d’élite americani che collaborano con i curdi, e così Washington ha deciso di mandare un messaggio chiaro. Le forze siriane sono adesso “ben avvisate a non interferire” con le attività americane, ha dichiarato un portavoce del Pentagono, il maggiore Adrian Rankine-Galloway. Non è escluso che se dovessero ripetersi episodi del genere, i piloti americani potrebbero trovarsi costretti all’uso delle armi, che di fatto è probabile sia già autorizzato dai protocolli di ingaggio.
I piloti siriani non avrebbero mai risposto alle chiamate radio sul canale di emergenza generale e nemmeno a quello di sicurezza aerea deciso per evitare incidenti tra Stati Uniti e Russia. Il primo incontro il 18 agosto, a questo è seguito un avviso diplomatico al governo siriano da parte del comando americano, ciò nonostante una situazione analoga si è verificata il giorno seguente. Ai Su24 siriani gli americani hanno risposto inviando in cielo due F22 Raptor, i più tecnologici e potenti aerei attualmente a disposizione dell’Air Force. Come dichiarato da un funzionario della Difesa di Washington alla ABC, per il momento non c’è stato scambio di colpi, e i caccia Usa, decollati da una base non specificata (ma potrebbe essere quella di Incirlik, in Turchia, per ragioni geografiche e di prontezza alla chiamata), si sono limitati all’interdizione limitando le attività dei velivoli siriani. Le missioni di Combat air patrol statunitensi è probabile che aumenteranno nei prossimi giorni.
C’è stato un solo precedente di operazioni aere del genere: nel marzo del 2013, dopo che due Su25 dei Pasdaran (il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica) tentarono di abbattere un drone americano MQ-1 impegnato in un volo di sorveglianza di routine all’interno dello spazio aereo internazionale, il Pentagono decise di scortare i droni coinvolti nelle missioni ISR (ricognizione intelligence sorveglianza) con aerei da combattimento, tra cui i Raptor. A settembre di quelll’anno, un vecchio F4 iraniano si avvicinò troppo a un altro Predator americano, così il pilota di un F22, aereo stealth, passò sotto al caccia inviato da Teheran e poi gli riapparse attaccato a un’ala, invitandolo via radio a “tornare a casa” in un manovra degna del film “Top Gun”.
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