Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Tutte le volte che i terremoti non hanno terremotato i governi

I terremoti procurano già molti, troppi danni di loro per allungarne gli effetti sui governi di turno. E magari per immaginare nuove svolte dopo le scosse che hanno devastato in questi giorni il Centro Italia, sino a scommettere su una ripresa nazarenica, da “solidarietà nazionale”, dei rapporti fra il presidente del Consiglio e Silvio Berlusconi dopo il loro naufragio per l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, circa un anno e mezzo fa.

È lo scenario, questo, che hanno mostrato di temere sia i “duri” di quello che fu il centrodestra, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, da Renato Brunetta a Daniela Santanché, sia gli intransigenti della sinistra, da Marco Travaglio ai suoi più affezionati lettori: tutti allarmati da quel “Forza Renzi” responsabilmente gridato, una volta tanto, da Alessandro Sallusti sul Giornale di famiglia di Silvio Berlusconi. Un “Forza Renzi” che il povero Sallusti ha dovuto appena tornare a spiegare.

++++

Ho letto da qualche parte che il terremoto nel Belice agli inizi del 1968 fu propedeutico, o quasi, alla fine della prima esperienza di Aldo Moro a Palazzo Chigi, alla guida dei governi “organici” di centro-sinistra dall’autunno del 1963 alla tarda primavera proprio del 1968. Ma il terremoto in Sicilia e le polemiche che certamente ne seguirono sui soccorsi e sugli interventi non ebbero alcuna incidenza sulla detronizzazione politica di Moro.

Essa fu causata dalla delusione subita dai socialisti unificati nelle elezioni di primavera per il rinnovo delle Camere e dalla smania della maggiore corrente della Dc – quella dei “dorotei” di Mariano Rumor e Flaminio Piccoli – di liberarsi di Moro, accusato senza tanti infingimenti di essere stato arrendevole con gli alleati di governo, sino ad avere sponsorizzato l’elezione di Giuseppe Saragat al Quirinale dopo l’interruzione traumatica del mandato presidenziale di Antonio Segni: il potente leader moderato della Democrazia Cristiana colto da ictus durante un alterco proprio con Saragat, allora ministro degli Esteri.

Dopo un passaggio “balneare” di Giovanni Leone a Palazzo Chigi Mariano Rumor vi si trasferì dalla segreteria della Dc concedendo ai socialisti guidati da Francesco De Martino tutto ciò che lui e i suoi amici avevano impedito a Moro di dare: un centrosinistra “più incisivo e coraggioso”, senza più la “delimitazione” morotea della maggioranza a sinistra, destinata cioè a marcare i confini con l’opposizione comunista; una commissione d’inchiesta sui servizi segreti per il presunto colpo di Stato tentato dal loro capo nell’estate del 1964; la concessione della pensione “sociale” ai non abbienti.

Moro si vendicò scavalcando a sinistra i dorotei con la proposta di una “strategia dell’attenzione” verso il  Pci e con una lettura benevola della stagione della contestazione sessantottina. I socialisti, nel frattempo avviatisi verso la liquidazione dell’unificazione, per non essere da meno chiesero “equilibri più avanzati” ancora di quelli concessi da Rumor. Il risultato di quella rincorsa a sinistra, in una stagione peraltro funestata da stragi e violenze di segno opposto, fu una nuova interruzione del centro-sinistra.

++++

Il terremoto del 6 maggio 1976 in Friuli non fu propedeutico al governo di cosiddetta solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti, interamente composto di democristiani ma appoggiato anche dai comunisti, prima con l’astensione e poi con un regolare voto di fiducia.

Quando il Friuli tremò con scosse tanto forti da essere avvertite anche a Roma, si era in campagna elettorale per il rinnovo delle Camere sciolte anticipatamente dal presidente della Repubblica Giovanni Leone dopo la caduta di un governo bicolore Dc-Pri presieduto da Moro.

Il governo di solidarietà nazionale nacque alla fine di luglio per il risultato sostanzialmente neutro delle elezioni politiche del 20 giugno, vinte da una Dc che non disponeva però in Parlamento di una maggioranza per la contrarietà dei socialisti ad allearsi con i democristiani senza i comunisti. Nè questi ultimi avevano i numeri per fare una maggioranza parlamentare senza la Dc.

++++

Il terremoto in Irpinia nel mese di novembre del 1980 non segnò la fine del governo di Arnaldo Forlani e della solidarietà nazionale con la svolta, come si è scritto, costituita da un discorso a Salerno di Enrico Berlinguer contro una Dc che si sarebbe rivelata incapace di governare per i ritardi e i pasticci nei soccorsi ai terremotati, denunciati dall’esterrefatto presidente della Repubblica Sandro Pertini.

La politica di solidarietà nazionale era già finita l’anno prima con il volontario ritorno dei comunisti all’opposizione e le conseguenti elezioni anticipate. Alle quali seguirono due governi di Francesco Cossiga e il governo Forlani, tutti formati con una maggioranza caratterizzata dalla ripresa della collaborazione fra la Dc e il Psi.

Il governo Forlani, mai sostenuto quindi dal Pci, si dimise il 26 maggio 1981 per l’affare P2, nelle cui liste fu trovato anche il nome del capo di Gabinetto del presidente del Consiglio. La pubblicazione delle liste, peraltro disposta dallo stesso governo Forlani dopo uno stillicidio di indiscrezioni di fonte giudiziaria, provocò un clamore cavalcato nella maggioranza da uno storico alleato della Dc come il Pri. Il cui segretario Giovanni Spadolini successe a Forlani a Palazzo Chigi. Altro che terremoto dell’Irpinia, quindi.

++++

Non fu infine il terremoto all’Aquila del 6 aprile del 2009 a segnare la fine dell’ultimo governo Berlusconi, caduto ben quattro anni dopo per le scosse politiche procurategli in quest’ordine temporale. Innanzitutto le vicende familiari e personali del presidente del Consiglio, irriducibilmente e imprudentemente contrario a rinunciare alle sue abitudini e frequentazioni femminili di fronte alla sua alta esposizione per il ruolo istituzionale che svolgeva. In secondo luogo, l’obiettivo accanimento giudiziario nei suoi riguardi. In terzo luogo, la bocciatura costituzionale dello scudo provvisorio dai processi accordato alle più alte autorità dello Stato. Poi, la rottura del centrodestra consumatasi con lo scontro fra lo stesso Berlusconi e l’allora presidente della Camera Gianfranco Fini, o viceversa, come preferite. Poi ancora, le tensioni esplose con la cancelliera tedesca Angela Merkel, l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy e, più in generale, con l’Unione Europea per la distribuzione degli oneri del debito pubblico greco e per l’applicazione dei parametri comunitari ai conti italiani. Infine, lo scatenamento della speculazione finanziaria internazionale contro i titoli di Stato italiani dopo la loro ingente dismissione da parte della più importante banca germanica.

Fu insomma il generale Spread, il differenziale cioè fra i costi del debito pubblico italiano e tedesco, a dare il colpo di grazia all’ultimo governo di Berlusconi, non il terremoto dell’Aquila, cui invece segui, col famoso discorso del 25 aprile ad Onna, il massimo della popolarità di Berlusconi, riconosciuto persino dall’ipercritico Eugenio Scalfari.

×

Iscriviti alla newsletter