La riforma ha naturalmente i suoi oppositori, numerosi e spesso assai rumorosi: i partiti che l’hanno osteggiata in Parlamento; i cittadini che non la condividono; commentatori, opinionisti ed esperti, inclusi un certo numero di accademici (in particolare politologi e costituzionalisti). Si tratta di un panorama variegato di posizioni che vanno dalla destra alla sinistra passando per il M5S e alcuni centristi (alla Mauro); in parte si tratta di oppositori dell’ultima ora (il residuo centrodestra berlusconiano, guidato da Brunetta, in particolare), in parte sono storici avversari di qualsiasi tentativo di cambiare la Costituzione, tanto più se in direzione di un più efficace funzionamento della forma di governo e di rafforzamento del circuito corpo elettorale – Parlamento – Governo, considerato il prodromo di temute svolte autoritarie: delle quali non vi è traccia nelle premesse e nei contenuti della riforma né tantomeno negli ordinamenti e nei modelli a cui questa si ispira: fra questi per fare alcuni nomi Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Valerio Onida, Alessandro Pace, Massimo Villone, Gustavo Zagrebelsky; giornalisti come Sandra Bonsanti, quotidiani come “Il Fatto”.
Il 6 marzo 2016 quest’ultimo giornale ha pubblicato lunghi stralci di un documento fondato su 15 punti, steso proprio dall’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, il quale sin dagli anni Settanta del secolo scorso si oppone alle riforme istituzionali di qualsiasi genere e da qualsiasi parte promosse, con coerenza degna di miglior causa. Rimandiamo volentieri a quello scritto perché è un po’ la sintesi degli argomenti di un “no” a prescindere che non tiene in alcun conto il merito specifico della riforma (tranne che al punto 14 dove si critica la complessità delle disposizioni sul procedimento legislativo). E’ un vero peccato che persone pur così qualificate invece di affrontare i diversi aspetti del progetto, che come tutte le cose umane è perfettibile e ovviamente discutibile (ci mancherebbe!), cerchino di demonizzarlo secondo uno schema in virtù del quale qualsiasi modificazione costituzionale volta a rendere più efficiente il sistema delle decisioni collettive è sinonimo del tentativo di perseguire (o consolidare come pure si legge) una svolta autoritaria, antidemocratica in un giudizio che accomuna semplici e trasparenti fautori del presidenzialismo (come il repubblicano partigiano antifascista Randolfo Pacciardi), veri golpisti o aspiranti tali (come Junio Valerio Borghese), personalità ambigue e d’ordine (come il generale Di Lorenzo), piduisti affaristi (come Licio Gelli), Silvio Berlusconi e… ora Matteo Renzi e Maria Elena Boschi (e con loro la maggioranza di questo Parlamento e tanti di noi). Difficile trovare argomenti in risposta a prese di posizione di tale genere: è fra i cittadini che occorre trovare interlocutori cui spiegare con pazienza e con raziocinio il senso di una scelta così importante.
Un documento per il “no” è stato presentato il 22 aprile 2016 da oltre cinquanta giuristi, fra cui numerosi ex giudici della corte costituzionale. Da un lato essi negano che la riforma poirterebbe a uno stravolgimento della Costituzione, dall’altro ripropongono critiche che abbiamo già presentato e cui abbiamo già risposto nel par. 18 del documento completo. Il documento – che pure individua anche parti della riforma che vengono apprezzate (voto a tempi certi per il Governo unito a nuovi limiti ai decreti-legge; possibilità di ricorso preventivo sulle leggi elettorali alla Corte costituzionale; nuovi referendum di indirizzo) ritiene prevalenti le ragioni del no con argomenti in qualche punto presentati tendenziosamente e in qualche altro palesemente erronei o infondati. Ma soprattutto il documento si distingue per la totale assenza di alcuna considerazione relativa al contesto in cui l’Italia si trova, all’urgenza di riformare la parte seconda della Costituzione, al solenne impegno di farlo in questa legislatura assunto dalle due Camere riunite al momento dell’elezione di Giorgio Napolitano al suo secondo mandato (22 aprile 2013).
Dispiace che agli oppositori della riforma si siano unite associazioni come l’ARCI e l’ANPI. Ai dirigenti dell’una come dell’altra occorre da un lato illustrare punto per punto, con la massima serenità, i vari aspetti della legge di revisione; dall’altro ricordare che la parte I della Costituzione non è toccata e che la messa a punto (parziale del resto) della parte II è direttamente funzionale proprio al perseguimento di quei valori, al rispetto di quei principi, alla garanzia di quei diritti che sono saldamente iscritti nella parte I. Agli amici dell’Associazione nazionale partigiani, in particolare, si tratta di far comprendere che si vuole cambiare e migliorare la parte organizzativa della Costituzione proprio per meglio attuare la parte I, che è quella per la quale essi (e chi è più giovane gliene sarà eternamente grato) si sono a suo tempo battuti. Son passati settanta anni: si tratta di fare un bel tagliando alla parte II della Costituzione senza rinnegarne uno solo dei suoi valori, ed anzi riprendendo alcune delle proposte che la Commissione per la costituzione (la Commissione dei 75 presieduta da Meuccio Ruini) aveva avanzato ed erano state accantonate (allora) per ragioni contingenti (l’avvio della Guerra fredda).
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