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Quando finiranno le stantie lezioncine di Mario Monti sull’austerità altrui?

Mentre l’Italia appenninica, in particolare quella centrale, continua a tremare fra la comprensibile paura dei sopravvissuti alle prime scosse del 24 agosto, altrove accadono cose, sempre in questo nostro martoriato Paese, che possono farci dire: a ciascuno il suo terremoto.

Accade, per esempio, che a Roma sprofondi una strada a poche centinaia di metri da San Pietro e in Campidoglio la sindaca grillina Virginia Raggi non sappia se deve guardarsi più dagli assessori e dirigenti che si dimettono o dalla sorveglianza stretta che esercita su di lei il direttorio del proprio partito, a volte in versione maxi e a volte in versione mini. Intanto a Cernobbio, dove è di casa con tutti quegli ospiti del simposio annuale che porta il nome di Ambrosetti, l’ex presidente del Consiglio Mario Monti incita i suoi amici di Bruxelles, dove ha lavorato per anni come commissario europeo su designazione dei governi italiani di turno, a finirla con la storia della “flessibilità” reclamata e ottenuta da paesi troppo indisciplinati e spendaccioni come il nostro. Dove l’austerità, intesa come politica di tagli e sacrifici, cioè di vita più da tendopoli che da ville e appartamenti, dovrebbe essere maggiore e non minore.

Si fa presto, caro presidente Monti, a chiedere più rigore, e a dolersi della scarsa credibilità orami acquisita dal cosiddetto patto di stabilità con tutte le deroghe permesse o in arrivo, per quanto riguarda l’Italia anche per il terremoto che la sta ancora danneggiando; si fa presto, dicevo, ad assumere posizioni tanto rigorose quanto impopolari stando al riparo di un remuneratissimo laticlavio.

All’eà di 73 anni, che non sono pochi ma neppure tantissimi, come dimostrano gli ultranovantenni che gli fanno felicemente compagnia a Palazzo Madama e nei confortevolissimi uffici dell’attiguo Palazzo Giustiniani di Roma, Mario Monti percepisce già dal 9 novembre 2011 l’indennità parlamentare di una ventina di migliaia di  euro mensili. Che si aggiungono naturalmente alle pensioni ch’egli si è meritatamente guadagnato, per carità, con i suoi diversi lavori: accademici, come dice la sua biografia targata Wikipedia, amministrativi e d’altro tipo ancora.

Dall’alto di queste posizioni mi sembra francamente un po’ troppo comodo, e ben poco sobrio, per ripetere un aggettivo caro al professore bocconiano, impugnare la frusta per batterla sulla schiena di altri meno fortunati. Se cominciasse lui a dare l’esempio rinunciando a qualcosa di legittimo ma anche di superfluo che ha o percepisce, il suo rigore comincerebbe ad essere meno impopolare, o più credibile, sempre per ripetere un aggettivo di uso frequente per lui. Un rigore, peraltro, che da presidente del Consiglio egli ha applicato agli italiani, per esempio ai pensionati cosiddetti esodati, senza calcolarne bene gli effetti, per cui i suoi successori hanno dovuto fare i salti mortali per cercare di rimediare agli errori.

Saranno pure state scelte “civiche” -altro aggettivo magico del repertorio montiano, usato anche per le sue liste elettorali del 2013 e per il partito che ne derivò per dissolversi poi rapidamente- ma non si può francamente dire che si siano rivelate eque.

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Alla luce di queste osservazioni, non riesco francamente a capire se gli elogi riservati da Monti a Matteo Renzi per le cose dette proprio a Cernobbio, nel suo incontro con il gotha internazionale dell’economia e della finanza, siano da prendere sul serio, o non appartengano soltanto alla nota e urticante ironia: “al curaro”, dicono gli esegeti dell’ex presidente del Consiglio. Chiamiamolo pure sarcasmo.

In particolare, Monti in una intervista all’Huffington Post – e a chi, sennò? – ha parlato di un Renzi “più umile e maturo”, capace di riconoscere i suoi eccessi, e di farsi convincere di tanto in tanto dal suo più esperto e navigato ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che naturalmente gode della stima dell’ex presidente del Consiglio. I due probabilmente, Monti e Padoan, per il livello di preparazione e di frequentazioni, parlano anche fra di loro più in inglese che in italiano.

Il rinsavimento del forse ancor troppo giovane, fiorentino e ambizioso Renzi appare così poco convinto che Monti, sempre nell’intervista all’Huffington Post, ha annunciato che si affretterà a partecipare all’imminente Consiglio Ecofin di Bratislava per tirare direttamente le orecchie a chi ha concesso troppa flessibilità nella gestione dell’Unione Europea e per chiedere una stretta, di cui la prima a farne le spese potrebbe essere proprio l’Italia renziana. Che evidentemente non va confusa con l’Italia sua, di Monti.

Mamma mia, e poi ci lamentiamo delle sparate di segno opposto del Matteo Salvini di turno, che al solo sentir nominare l’ex presidente del Consiglio dà i numeri e cerca disperatamente il trattore, o altro, su cui montare per travolgerlo e rottamarlo. Il vecchio, indimenticabile Giulio Andreotti, a volte perfido sino alla provocazione, ripeterebbe ciò che disse del povero Giorgio Ambrosoli, commentandone anche a distanza di molti anni l’assassinio, compiuto su commissione di Michele Sindona: “Se l’è andata un po’ a cercare”.

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Un po’ se la sono andati a cercare anche i tanti romani che hanno votato a giugno per Virginia Raggi sindaca e ora sono costretti a vederla, con le scosse alla sua giunta, le intimazioni dei suoi colleghi di partito, le dimissioni in arrivo anche dalla sua assessora all’Ambiente Paola Muraro, formalmente indagata, alle prese con quel piatto che l’inimitabile Sergio Staino, sempre in attesa di diventare il nuovo direttore dell’Unità, ha così chiamato titolando una vignetta: “Ajo, ojo e Campidojo”.

Le ultime indiscrezioni, raccolte dal grillologo della Stampa Jacopo Iacoboni, attribuiscono le scosse capitoline pure alla lotta apertasi nel direttorio 5 Stelle, per la candidatura al vicino Palazzo Chigi, fra Luigi Di Maio e Alessandro di Battista, detto anche il  Che Guevara de’ noantri per quella moto su cui viaggia per l’Italia nella campagna referendaria contro la riforma costituzionale di Renzi. Coetaneo peraltro della Raggi, il Che trasteverino forse si sente già un mito, nonostante le lesioni e i crolli della giunta a 5 Stelle.


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