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Difesa comune europea: obiettivi, divergenze e sogni

Ricominciare a parlare di Difesa Comune Europea è cosa buona e giusta. Purché si intenda esattamente cosa si sta cercando di dire e di fare, perché lo si fa ed in quali tempi sia davvero realizzabile, una volta che, passo per passo, se ne siano create le condizioni. Se è vero, come un tempo ci insegnavano, che le Forze Armate sono “fattore di potenza e strumento di politica”, non è affatto banale trasferire questo concetto dai singoli Stati all’Unione. Prima, ci vuole la “politica” comune. In quanto alla “potenza”, poi, stendiamo un velo. E’ vero, oggi la Ue ha un Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza, ma i suoi poteri sono ancora fortemente condizionati dal discorde volere degli Stati.

Non è mai stato facile, nella Ue, parlare di Sicurezza e Difesa. Tant’è vero che non esiste neppure il foro: l’organo che ancora conserva un potere prevalente sulla Commissione e sul Parlamento è il Consiglio, il quale si riunisce in vari formati (esteri, finanze, interni, ecc.), ma non nel formato “ministri della Difesa”. Un conto, quindi, è ricominciare timidamente a parlare di Difesa europea, mentre cosa diversa sarebbe perseguire, sin d’ora, la formazione di Forze Armate europee. Senza l’unificazione politica, sarebbe come mettere il classico carro davanti ai buoi. Un po’ – nessuno si scandalizzi – come volutamente a suo tempo era stato forzata l’introduzione dell’Euro. Moneta che al momento ancora funziona, per chi viaggia è assai comoda, ma che evidenzia ogni giorno di più i limiti dovuti al suo vizio d’origine.

Tentativi di realizzare Forze Armate che si potessero definire europee ci sono sempre stati, ma, sinora, sono tutti falliti. In passato, tra i tre Paesi “protagonisti” del vertice di Ventotene, quasi sempre è stata la Francia a pendere l’iniziativa. Nel bene e nel male. Ricorda Ebe Pierini, una brava giornalista del Il Mattino, che fu l’uomo forte del Re di Francia Enrico IV, Maximilien de Béthune duca di Sally, a teorizzare per primo l’esigenza di un esercito europeo. Eravamo all’inizio del Seicento. Ma è giusto anche ricordare che la mancata realizzazione della Comunità Europea di Difesa (Ced), che avrebbe accelerato l’unità politica, va pur sempre ascritta alla volontà francese, allora espressa da De Gaulle. E’ noto che la Francia ha sempre covato la non troppo recondita aspirazione di diventare l’America dell’Europa. Come dire: “se comando io si fa, altrimenti, niente”.

E così che è sempre fallito anche il più volte tentato asse franco-tedesco. Come pure sono rimasti lettera morta gli accordi di S. Malo, 1998, tra Francia e Uk, dopo aver lanciato la Politica Europea di Sicurezza e Difesa (Pesd). Ma anche la Germania, ora che ha deciso di ricominciare a investire nel militare, potrebbe non gradire una posizione non di primo piano, in particolare dopo l’avanzata politica delle destre. Si è sempre incolpato il Regno Unito di tutti i fallimenti, ma siamo proprio certi che ora che nel terzetto è stato sostituito dall’Italia, le cose andranno meglio? Porsi questo dubbio è legittimo. Tanto più che Uk in campo militare non sarà affatto del tutto fuori. E’ ben salda nella Nato, e qui va ricordato che, a parte gli Usa, le forze disponibili sono sempre le stesse. Poi vi è il fatto che la Ue, per quanto abbia un proprio Comitato Militare, se dovesse gestire una crisi di un certo livello dovrebbe comunque far capo – esistono degli accordi precisi – alla struttura intelligence e di Comando e Controllo dell’Alleanza.

Pur con queste problematiche, che sicuramente si riproporranno, è già un discreto successo che la proposta italiana – la quale, come abbiamo letto ieri su La Repubblica, giustamente parte dal piccolo, ma poi comprende anche processi industriali e strutturali – sia stata formulata, rilanciata e venga presa in considerazione. Con quali risultati, in quali tempi e con quali controindicazioni, è tutto da vedere.



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