Skip to main content

Tutte le novità sui finanziamenti elettorali per Hillary Clinton

Passato il Labour Day, che negli Stati Uniti segna la fine dell’estate e la ripresa a pieno ritmo dell’attività, con la riapertura delle scuole – in alcuni Stati, avviene prima – , la campagna decolla verso gli ultimi due mesi: lo scontro tra i candidati democratico Hillary Clinton e repubblicano Donald Trump è a tutto campo, con focus, negli ultimi giorni, sull’immigrazione.

Per la Clinton, il decollo non è tanto un’immagine figurata quanto un fatto reale. L’ex first lady, infatti, s’è dotata di un jet privato, subito denominato “HillForceOne”, con palese assonanza all’aereo presidenziale, l’ “AirForceOne”, e lo ha inaugurato volando, con la stampa al seguito, a Cleveland, in Ohio, uno degli Stati chiave di questa competizione.

L’aereo della Clinton non compete con l’iper-tecnologico “AirForceOne” del presidente Obama e neppure con il lussuoso B-757 di Donald Trump: è un vecchio B-737 di 14 anni, che ha già volato per diverse compagnie aeree, tra cui l’Air Berlin. L’interno è suddiviso in quattro aree: una per la Clinton, una per il suo staff, una per gli agenti di scorta del Secret Service e una per la stampa. Sulla fusoliera, c’è scritto lo slogan della campagna di Hillary, “Stronger Toghether”, più forti insieme.

LA VICINANZA AI “PAPERONI D’AMERICA”

Il decollo aeronautico s’accompagna a quello finanziario della campagna di Hillary, che ha avuto un agosto “ricco”, con la raccolta di 143 milioni di dollari, e che continua a raccogliere fondi nelle zone più esclusive dell’Unione, dagli Hamptons, nello Stato di New York, a Beverly Hills, in California. Ad essi non corrisponde, però, un decollo politico: se Donald Trump ha vissuto un momento no durato almeno tre settimane dopo le convention, l’ex first lady appare ora impantanata di nuovo in vicende del passato, l’emailgate, la strage di Bengasi, le donazioni alla Fondazione di famiglia, che non riesce a scrollarsi di dosso.

E la frequentazione dei miliardari più che della gente comune le frutta, ma non l’aiuta: il Nyt scrive che i suoi eventi per il grande pubblico sembrano incastrarsi negli spazi di tempo disponibili fra un miliardario e l’altro; e cita un esponente democratico, Jay Jacobs, secondo cui “si va dove ci sono i soldi, è una musica vecchia”. Hillary, in questa fase, starebbe rassicurando i “paperoni d’America”, molti dei quali sono amici dei Clinton da vecchia data: la sua presidenza, verso di loro, s’ispirerà più a Bill Clinton che a Barack Obama.

FONDAZIONE CLINTON, INVITI A TAGLIARE I LEGAMI

Dall’ex rivale democratico Bernie Sanders, politicamente più a sinistra di lei, arriva l’invito a tagliare ogni legame con la Fondazione Clinton, se sarà eletta. Sanders echeggia la sollecitazione venuta la scorsa settimana dal New York Times, un giornale amico: la Fondazione smetta subito, senza attendere l’Election Day, l’8 Novembre, d’accettare donazioni da Paesi stranieri o grandi aziende, perché “è un imperativo etico”, oltre che essere “più saggio” in termini elettorali.

Inoltre, “se la signora Clinton vincerà, il marito Bill e la figlia Chelsea dovrebbero entrambi interrompere ogni legame con la Fondazione e con le affiliate per tutta la durata del mandato, cedendo il controllo sulle spese a un consiglio di amministrazione”. Nei giorni scorsi era invece emersa la possibilità che Chelsea, la figlia dei Clinton, restasse nel board della Fondazione, contrariamente a quanto prima ventilato, e che il maggiore progetto della Fondazione, la Clinton Health Access Initiative, continui a ricevere contributi dall’estero.

Recenti rivelazioni, in cui emailgate e vicende della Fondazione s’intrecciano, “rendono difficile – osserva il Nyt – dire dove finiva (la sfera d’interessi e attività) della Fondazione e iniziava (quella) del Dipartimento di Stato”.

IL POZZO SENZA FONDO DELLE MAIL

Alcune mail indicano che personalità che hanno fatto donazioni alla Fondazione hanno ottenuto un accesso privilegiato e rapido all’allora segretario di Stato; e oltre la metà delle persone al di fuori dell’Amministrazione che incontrarono o ebbero telefonate con la Clinton mentre era segretario di Stato contribuirono alla Fondazione personalmente o tramite società: almeno 85 su 154, dice un’inchiesta della Ap.

Gli 85 donatori versarono complessivamente 156 milioni di dollari: almeno 40 hanno donato 100 mila dollari a testa, 20 hanno versato oltre un milione di dollari.

Per lo staff di Hillary, quello della Ap è un resoconto “completamente sbagliato”, che fornirebbe “una rappresentazione distorta”. Invece Trump commenta che, alla luce di quanto emerso, “non è possibile stabilire dove finiva la Fondazione Clinton e dove cominciava il Dipartimento di Stato”: una frase che richiama il giudizio del Nyt.

RICHIESTE DI FAVORI D’OGNI GENERE, SPESSO RERSPINTE

Tra coloro che ebbero accesso a Hillary, figurano un economista di fama internazionale che chiedeva aiuto mentre il governo del Bangladesh premeva per le sue dimissioni da una banca non profit; un manager di Wall Street che sollecitava l’intervento per un problema di visto; un consigliere di Bill che voleva un passaporto diplomatico (senza ottenerlo); i dirigenti di Estee Lauder, mentre il Dipartimento lavorava con la Fondazione dell’azienda contro le violenze di genere in Sudafrica.

Gli incontri non sembrano violare gli accordi legali che Hillary e il marito Bill firmarono prima che lei si insediasse al Dipartimento di Stato nel 2009, ma la frequenza delle sovrapposizioni alimenta l’impressione che dare soldi alla Fondazione fosse il prezzo di ammissione alla Clinton. Hillary incontrò anche i rappresentanti di almeno 16 governi stranieri che donarono alla Fondazione complessivamente 170 milioni di dollari, ma essi non sono stati inclusi nei calcoli dell’Ap perché tali incontri facevano probabilmente parte dei suoi doveri istituzionali.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)



×

Iscriviti alla newsletter