Le milizie fedeli al generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica che si oppone al progetto di riunificazione libica studiato dall’Onu, hanno occupato domenica alcuni porti petroliferi chiave nell’area della Libia orientale. Una mossa che sembra segnare la fine del piano di riconciliazione tra Est e Ovest del paese studiato nelle sedi diplomatiche, anche perché a quanto pare da notizie non del tutto confermate, a Tripoli potrebbe esserci l’intenzione di spostare alcune forze combattenti fedeli verso l’area dove Haftar ha compiuto lo scacco petrolifero, con le diplomazie al lavoro per cercare una soluzione meno drastica.
SCACCIATE LE PFG
Il capo di stato maggiore del generale Haftar, Abdulrazak al Nazhuri, intervistato dalla Reuters in una base vicino Bengasi aveva già annunciato il piano di “mettere in sicurezza” i terminal del petrolio. Nell’operazione hanno scacciato dai terminal le forze delle Pfg, ossia la milizia guidata da Ibrahim Jathran che si è auto-costituita guardia, remunerata, delle istallazioni petrolifere libiche della Mezzaluna. Jathran è un personaggio particolare, a cavallo tra il leader politico, il signore della guerra (la sua famiglia è molto potente ad Ajdabiya) e l’arrampicatore sociale, con il quale Haftar aveva prima un feeling personale, rotto dall’utilitarismo del primo, che ha spostato i suoi interessi verso il governo che l’Onu ha insediato a Tripoli. In pratica il capo delle Pfg ha mosso le sue milizie sempre sul lato del conflitto regionale libico che aveva maggiore riconoscimento internazionale; questo riconoscimento è uno dei punti chiavi di tutta la situazione libica. Prima ne godeva il governo di Tobruk, quello cirenaico che fa da contraltare politico ad Haftar e per questo c’era la liason col generale, ora ne gode il premier Fayez Serray a Tripoli, dove le Nazioni Unite hanno scommesso su un futuro esecutivo che prenderà il nome di Governo di accordo nazionale (Gna, l’acronimo inglese) e per questo le Pfg a luglio hanno chiuso un accordo per riaprire le esportazioni da alcuni porti che bloccava. (È una questione di business, Jathran deve stare con chi ha alle spalle le nazioni da cui vengono le aziende che muovono interessi nei siti da lui “difesi”: nel caso, gli occidentali stanno tutti con Serraj e lui segue il business).
UN BLITZ SENZA SFORZI
Ahmed al-Mismari, un portavoce delle sedicenti Forze armate libiche (LNA) di Haftar, ha detto alla Reuters che i suoi combattenti avevano da tempo stretto alleanze con i clan tribali locali e dunque domenica hanno ottenuto senza grossi sforzi (e anzi con qualche defezione tra le Pfg) il pieno controllo di Es Sider, Ras Lanuf, Zuetina e di Brega: i quattro scali rappresentano i centri nevralgici del petrolio libico (i primi due sommano insieme la metà del totale dell’output petrolifero). Questa attività di erosione del potere di Jathran tra i locali, è parte della missione annunciata di cui parlava Nazhuri (combattere sarebbe stato un messaggio di violenza non troppo accettato all’estero, meglio dunque procedere con azioni politiche e di intelligence, sempre su quella linea del riconoscimento). La Noc, la società petrolifera libica, l’unica formalmente autorizzata a vendere il petrolio, ha confermato subito la situazione a Es Sider e Ras Lanuf, per Zuetina le conferme sono arrivate nella notte, e per Brega ha detto di non poter verificare in modo indipendente; Brega però è praticamente già sotto il controllo dei cirenaici da tempo. È da notare che l’operazione è scattata il giorno precedente alla sacra festa musulmana dell’Eid al Adha, una ricorrenza tra le più sentite che coincide con l’hajj (il pellegrinaggio a la Mecca). È un passaggio simbolico, una sorta di sacrificio – di questo parla la festa, basandosi sul sacrificio ordinato da Dio ad Abramo – per il bene della Libia. Abdullah al Thinni, il capo del governo non più riconosciuto, ma molto loquace, con sede a Tobruk, ha parlato dell’operazione in un discorso ai libici in cui, nel mixage politico-religioso islamico, ha augurato una buona festa dell’Eid e si è congratulato con i miliziani di Haftar.
LA GUERRA CIVILE, OLTRE L’IS
L’occupazione dei terminal petroliferi, “un’escalation ingiustificata” l’ha definita Serraj, dimostra che la presenza dello Stato islamico e la campagna per estirparlo non sono il principale dei problemi in Libia. La vera guerra civile è quella che si combatte da anni, con o senza Califfo: anzi, per il momento la presenza dell’IS è stata una sorta di cuscinetto che ha separato, anche fisicamente, le due regioni libiche, evitando gli scontri diretti. Nota a latere: i baghdadisti sono ancora rifugiati a Sirte, l’ex roccaforte nel paese, nonostante siano pressati da cinque mesi dall’operazione che i miliziani misuratini fedeli a Serraj hanno lanciato verso il golfo orientale per riprendere il controllo dell’area e soprattutto per acquisire peso politico agli occhi internazionali (leggasi occidentali) – in Libia è tutto legato a questi bilanciamenti, si punta, da un lato e da un altro, ad essere i rappresentativi, gli autorevoli, a raccogliere la fiducia esterna, per potersi poi accreditare all’interno. Questa campagna che prende il nome di Bunyan al Marsoos (“variamente tradotta”, come dice Wikipedia, in “Muro impenetrabile” o “Edificio dalle fondamenta solide” – si propende per la seconda. ndr) è costata il ferimento o la morte di circa la metà dei seimila misuratini partiti a combattere, ha vissuto interi giorni di stallo e procede a passo lento nonostante abbia da sei settimane l’appoggio aereo ufficiale degli Stati Uniti, che per il momento mantengono fede all’accordo siglato in sede Onu di dare sostegno a Tripoli. Nell’ambito: Repubblica scrive che l’Italia invierà di 10o uomini del personale medico e circa 200 paracadutisti della Folgore di supporto che saranno schierati nell’ospedale della base dell’accademia di Misurata (martedì il governo richiederà l’avallo parlamentare, anche se non necessario secondo gli accordi Onu).
LA LIBIA FUTURA?
A costo del sangue dei miliziani di Misurata, comunque, Sirte sarà liberata dallo Stato islamico, ma ciò non eliminerà caos politico. Questo di sconfiggere l’IS come mezzo per la riunificazione è un’idea, nemmeno troppo convinta, di Serraj, sposata da alcune cancellerie occidentali, ma è chiaro che i problemi sono più rilevanti ed è un modo per garantirsi quegli accrediti successivi. La dittatura militare imposta da Haftar e soci in Cirenaica (modello da esempio: l’Egitto alleato di Abdel Fattah al Sisi), si è rafforzata di fatto con le perdite subite da Misurata, l’unica milizia in grado di contrastare l’Lna, e adesso rischia di acquisire forze economica, o negoziale, controllando il petrolio e potrebbe rialzare il livello dello scontro regionale. I problemi principali della Libia sono la crisi economica, mancano i soldi per pagare gli stipendi, non c’è disponibilità di contanti, ci sono situazioni sanitarie zoppicanti e tutto dipende dal petrolio: il calo delle esportazioni (da circa 1,5 milioni di barili al giorno ai tempi della dittatura di Muammar Gheddafi ai 200mila attuali), comporta una diminuzioni delle entrate che non ha paragoni, perché il greggio rappresenta il 90 per cento della ricchezza del paese. Ora se Haftar controlla anche i porti, significa che potrebbe aver in mano tutta la linea di produzione del petrolio, ossia i campi pozzi, incalzati da un’avanzata che ha avuto inizio a giugno, quando i miliziani dell’Lna sembravano voler prendere parte alla missione contro l’IS e invece si erano attestati in aree strategiche della Libia centro-orientale, e i punti di esportazione. L’abbinamento campi-terminal potrebbe permettere a Bengasi/Cirenaica di procedere indipendentemente alle vendite, facendo cassa e garantendo una vita migliore ai cittadini dell’Est: il punto di partenza da cui poi eventualmente allargare il piano egemonico di Haftar al resto della Libia. Le prossime ore saranno decisive per il futuro del paese: se Serraj deciderà di reagire, allora il piano di riconciliazione potrebbe davvero saltare definitivamente.