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Tutti pronti per sfilare (di nuovo) Mosul all’Isis?

La campagna militare contro lo Stato islamico in Iraq prosegue, anche se, fa notare il Situation Report di Foreign Policy, è uscita un po’ dai riflettori delle cronache per via dell’aggravarsi della crisi siriana – dove la situazione prosegue su due piani distinti che a volte si incrociano: la lotta al terrorismo e la gestione della guerra civile.

LA MISSIONE, AGAIN

Barack Obama avrebbe intenzione di avviare la missione su Mosul, la capitale dello Stato islamico, prima di lasciare la presidenza: contemporaneamente, sta stringendo il cerchio anche su Raqqa, la roccaforte siriana, dove però ha il problema di gestire la dicotomia tra l’alleanza funzionale con i curdi siriani e la proposta di avviare un’operazione congiunta con la Turchia; il problema sta nel fatto che curdi e turchi si detestano, e dunque bisogna scegliere da che parte stare. Mosul e Raqqa sono i due ambiziosi obiettivi anti-IS che la Casa Bianca si era fissata ad inizio anno. In Iraq però almeno il piano organizzativo e politico più semplice: non ci sono i russi a fare interferenza, c’è l’esercito di Baghdad che è sufficientemente controllabile nonostante le infiltrazioni sciite veicolate dall’Iran, e ci sono i Peshmerga, guerriglieri sempre curdi, ma che hanno sposato un occidentalismo pragmatico (figlio di concessione e aperture) e dunque considerati un alleato a tutti gli effetti, non un partner come le milizie dei cugini siriani (nota: s’uscirebbe dal topic, dunque solo brevemente va detto che la situazione interna tra i curdi iracheni non è poi troppo stabilizzata e tranquilla, ci sono fazioni, divisioni, invidie, difficili da gestire). Ci sono prove circostanziali che questa missione per Mosul sta prendendo vento, ma non è che si possa parlare in via definitiva: il lancio di una grossa campagna verso la città del nord dell’Iraq è stato ripetutamente tirato in ballo da funzionari occidentali e dal governo iracheno, ma il risultato è che quasi il completo status quo è fermo da una dozzina di mesi. Là a Mosul stanno anche gli italiani che fanno assistenza alla ditta Trevi che si sta occupando della sistemazione della grande diga, e dunque dovesse stavolta partire davvero l’offensiva, i soldati inviati da Roma si troverebbero sulla prima linea.

L’ACCOGLIENZA CHIMICA DEL CALIFFO

Uno dei principali guadagni ottenuti dalla Coalizione a guida americana che combatte l’Iraq è stato la conquista di Qayyarah, il 9 luglio: è un centro abitato di dimensioni limitate, ma è uno degli snodi roccaforte del gruppo da molti anni (fin dai tempi della guerriglia contro gli americani occupanti post-2003, quella che ha generato l’attuale Stato islamico) che si trova sulla direttiva nord-sud verso Mosul. Conquistarlo è stato un buon successo in avanzamento per la guerra ibrida contro l’IS (“ibrida” qui sta per il mixage messo sul campo, tra forze militari irachene a terra e aerei della Coalizione). Soprattutto a Qayyarah c’è una base aerea che fu già Fob (forward operating base) per i Bastogne Bulldogs della 101esima aviotrasportata americana ai tempi della guerra d’Iraq (327esimo Reggimento Fanteria): si tratta di un punto avanzato nevralgico per lanciare l’attacco a Mosul. Anche lo Stato islamico ne conosce l’importanza, nonostante si sia ritirato senza troppe resistente quest’estate: è stata però una ritirata tattica, visto che l’IS controlla ancora tutta la fascia di territorio che segue verso nord per 65 chilometri il corso del Tigri fino a Mosul. Martedì i baghdadisti hanno colpito la base di Qayyarah con alcuni colpi di mortaio arricchiti con gas mostarda allo stato di polvere: l’agente senape era in forma non efficace, e i soldati presenti, anche advisor americani, non hanno riportato segni evidenti di intossicazioni o vescicazioni (gli effetti tipici) ha dichiarato il Pentagono in via ufficiale. L’uso da parte dello Stato islamico di proiettili di mortaio arricchiti con gas mostarda è già stato più volte segnalato anche dai Peshmerga in Iraq e dagli altri ribelli che combattono la rivoluzione contro il regime in Siria: in almeno un’occasione, nell’agosto del 2015 (in Siria, contro i ribelli), anche l’Opcw, l’organizzazione che per l’Onu si occupa di armi chimiche, ne ha definitivamente individuato l’IS come responsabile; anche per le altre quasi sicuramente lo è, ma le inchieste seguono procedure amministrative non troppo rapide, visto che quello che è successo l’agosto scorso è stato ufficialmente accertato solo tre settimane fa. Nota: è da chiarire se lo Stato islamico sia in grado di fabbricare il gas vescicante, oppure si tratti di un bottino catturato durante le varie razzie ai depositi militari siriani o iracheni, che di certe amenità erano ricchi.

SI FA SUL SERIO? CI SONO PROVE…

Un di quelle prove circostanziali circa nuovi sviluppi sulla campagna per Mosul, è l’invio di altri 500 consiglieri militari richiesto dal dipartimento di Difesa americano alla Casa Bianca: è stato il Wall Street Journal a rivelare per primo l’intenzione dei pianificatori militari statunitensi, poi il capo delle Forze armate Jospeh Dunford ha replicato che l’esercito iracheno sarà addestrato e pronto per ottobre (per quella data avremo “raggruppato, messo in campo, addestrato ed equipaggiato tutte le forze che sono necessarie per andare a Mosul” ha detto). Un’altra prova che si pensa di far sul serio sta nel fatto che anche gli alleati cominciano a muoversi. Ad inizio settembre la Francia ha spostato alcune unità di artiglieria verso la città settentrionale, “abbiamo deciso di rafforzare il nostro sostegno delle forze irachene questo autunno, con l’obiettivo di riconquistare Mosul”, ha detto il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, e pure la portaerei “Charles de Gaulle” è stata mobilitata. Anche la Gran Bretagna s’è mossa: forze speciali inglesi sono già sul campo come consiglieri militari, e Londra ha messo a disposizione altri 52 milioni di dollari per gestire l’emergenza umanitaria che Baghdad si troverà ad affrontare, quando con la battaglia inizierà l’esodo degli sfollati. Mosul ospitava due milioni e mezzo di persone, alcune sono fuggite altre sono rimaste ancora a vivere sotto l’occupazione militarista dell’IS, altri stanno provando a scappare continuamente, mentre si sta diffondendo una debole resistenza interna, per ora clandestina, che prende il nome di Kataib Mosul. Quando l’attacco partirà sono previsti profughi, sono previste vittime civili: lo Stato islamico tiene molto al controllo della città, perché ha un valore simbolico (qui si mostrò Abu Bakr al Baghdadi per proclamare il Califfato due anni fa) e perché è in pratica l’ultimo dei grandi vessilli statuali rimasto sotto il controllo dell’organizzazione. Non c’è più Tikrit, non c’è più Kiruk, non c’è più Ramadi, non c’è più Sirte, caduta Mosul (e Raqqa) si potrebbe di fatto aprire una nuova fase dell’esistenza dell’IS, che potrebbe capitolare per tornare ad essere un gruppo clandestino senza amministrazione territoriale. Al Monitor racconta che in molte delle aree irachene considerate “liberate” dal Califfato, i baghdadisti compiono ancora attacchi contro le forze di sicurezza, rivelando la presenza di enclavi e cellule clandestine. Tra l’altro, come faceva notare Daniele Raineri del Foglio, se Abu Mohammed al Adnani, il numero due del gruppo (per semplificare), è stato ucciso a nord di Aleppo mentre arrivava da Raqqa, per bilanciamento di potere Baghdadi deve trovarsi nell’area di Mosul, perché il paranoico controllo per la sicurezza che ha l’IS impedirebbe di tenere due alti leader nello stesso luogo.

(Foto: Wikipedia, 2005, soldati americani pattugliano le vie di Mosul)

 



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