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Perché l’economia della Siria è al collasso

Seconda parte dell’analisi del ricercatore Luca Longo, la prima parte si può leggere qui

L’ECONOMIA

Anche se l’economia siriana non è mai stata incentrata sul petrolio, prima della guerra la vendita di idrocarburi ha rappresentato un quarto degli introiti statali. Dopo oltre cinque anni, il controllo formale dell’economia da parte del governo è completamente collassato. Il colpo di grazia è arrivato a maggio, quando un blitz degli ijhadisti ha ridotto in cenere l’intero campo a gas di Shaer, il più grande della provincia centrale di Homs e l’ultima grande infrastruttura petrolifera rimasta in funzione. Le esplosioni hanno scosso le fondamenta delle case rimaste in piedi a Palmira, 50 km a sudest.

La situazione economica e fiscale siriana sta precipitando. L’inflazione è alle stelle, il potere d’acquisto dei salari è crollato e i risparmi sono scomparsi trascinando milioni di famiglie a livelli di povertà. La crisi è il principale motore che spinge verso il reclutamento volontario, l’inflazione ha praticamente azzerato le importazioni e il controllo dei prezzi imposto dal governo ha bloccato il commercio quando non ha spinto i produttori a vendere i loro beni sul mercato nero.

In questo ambiente, prosperano i signorotti locali che sono in grado di autofinanziarsi gestendo il mercato nero e il contrabbando con il Libano, l’Iraq e la Turchia. Grazie ad un decreto governativo del 2013, sono legalmente in grado di gestire milizie armate completamente autosufficienti. Le due più forti prima citate, l’Armata Tigre e i Falchi del Deserto, offrono il triplo del salario militare standard, attrezzano i loro campi di addestramento e costruiscono i propri mezzi militari in modo completamente autonomo.

LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE

I sempre più numerosi segnali di pace che la Turchia e la Russia si stanno scambiando dopo l’incidente dell’abbattimento del MIG, sono certamente fonte di preoccupazione ma ancora un segnale difficilmente interpretabile dal punto di vista di Bashar al-Assad. Tutto dipende se gli accordi militari – ma soprattutto energetici – fra Turchia e Russia prevedono o meno un cambio di regime in Siria.

LA POPOLAZIONE

Molte delle milizie governative, invece di autofinanziarsi sfruttando le risorse economiche sotto il proprio controllo, trovano più pratico tartassare direttamente le popolazioni. Ad esempio la città ribelle di al-Tall, a nord di Damasco, ha firmato una tregua con il regime e ospita migliaia di profughi che sono fuggiti dalle aree attorno alla capitale. Nonostante l’accordo stipulato col governo, la popolazione è costretta a pagare 100 sterline siriane per ogni kilogrammo di cibo per fare passare attraverso i posti di blocco le merci destinate a sfamare la città. Anche se questa tassa abusiva equivale solo a 41 centesimi di euro, va confrontata con un salario medio che prima del tracollo economico era attorno ai 100 euro mensili. Ma si stima che la milizia che controlla al-Tall possa così ricavare milioni di euro e quindi armare e sfamare le migliaia di mercenari che presidiano i posti di blocco. Questa situazione è tutt’altro che unica: gli osservatori dell’organizzazione “Siege watch” stimano che complessivamente 850mila civili siano bloccati all’interno di ghetti analoghi ad al-Tall. In questo modo Damasco, pur non essendo minimamente in grado di finanziare e nutrire direttamente i miliziani fedeli al regime, tollerando – quando non promuovendo – questo sfruttamento riesce a mantenere operative la maggior parte delle proprie forze militari.

CONCLUSIONI

Questa analisi si focalizza sul solo regime siriano e sulle forze più o meno nominalmente sotto controllo governativo. Ma il territorio siriano è per una parte significativa in mano ai ribelli siriani o sotto il controllo dell’estremismo islamico, in particolare di al-Qaeda e di Isis, le due organizzazioni terroristiche che attirano la popolazione offrendosi entrambe come uno Stato efficiente alternativo ad un regime allo stremo. E quindi darwinianamente in guerra anche fra di loro.

È chiaro che un intero sistema economico e militare basato, in ultima analisi, non sullo sfruttamento di risorse o sul commercio di beni ma sul taglieggiamento di popolazioni già ridotte in miseria non può durare a lungo senza aiuto esterno. A peggiorare la situazione, le milizie provvedono sempre più autonomamente a finanziarsi, nutrirsi, armarsi e a reclutare nuovi soldati spinti dalla loro stessa povertà. È altrettanto chiaro che la loro fedeltà al regime diventa sempre meno sostanziale con l’aumento della loro stessa autosufficienza.

(Qui la prima parte dell’analisi)


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