Anche la Repubblica di carta, quella fondata da Eugenio Scalfari una quarantina d’anni fa e ora diretta da Mario Calabresi, è sottosopra, come spesso accade a quella vera, fondata dagli elettori col referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e provvista del suo abito costituzionale poco più di un anno e mezzo dopo. Un abito confezionato dall’Assemblea Costituente e che il governo di Matteo Renzi, assuntosene il compito di promotore su un mandato parlamentare che molti dimenticano, o fingono di dimenticare pur di polemizzare, ha cercato di aggiornare con una riforma ora sotto procedura referendaria.
Nella Repubblica vera il sottosopra è provocato da un Parlamento che funziona male –e lo dico pregando i presidenti delle Camere di non dolersene perché è la pura verità- e da partiti che si sono rivelati peggiori di quelli che hanno sostituito una ventina d’anni fa, un po’ intossicati da un balordo, per quanto diffuso, sistema di finanziamento illegale e un po’ uccisi da processi gestiti dalla magistratura in modo tale da farli svolgere sulle piazze, prima ancora che nei tribunali. E sulle piazze si sa come finiscono i processi, dai tempi di Gesù e Barabba.
Nella Repubblica di carta il sottosopra sembra che l’abbia provocato lo stesso fondatore Scalfari assegnando domenica un bel 2 a 0 a favore di Renzi nella partita televisiva sulla riforma costituzionale giocata due giorni prima, sui campi elettronici de La 7, con Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale e sommo pontefice, con le minuscole per carità, della campagna referendaria del NO, doppia maiuscola per favore, alla riforma approvata dal Parlamento con la “sola” maggioranza assoluta dei voti. Che è già una maggioranza qualificata, anche se molti critici ignoranti non lo sanno scambiandola per la maggioranza semplice, quella dei presenti e votanti, ma non è l’ancor più qualificata dei due terzi. Che avrebbe messo la riforma al riparo dalla verifica referendaria.
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Il risultato della partita Renzi-Zagrebelsky annunciato da Scalfari “non è stato condiviso da una parte dei lettori”, ha scritto in un editoriale il direttore Mario Calabresi con l’aria di scusarsene, ma – debbo dire – senza prendersela con Scalfari, che ne salutò non proprio bene la nomina a direttore per ragioni- disse -di forma, delle quali lo stesso Calabresi e soprattutto l’editore Carlo De Benedetti andarono a casa a sua a scusarsi, ottenendone l’augusto perdono.
La colpa del sottosopra dei lettori è stata attribuita dal direttore del giornale genericamente, e generosamente, al clima politico, all’animosità di un dibattito che doveva rimanere alto, sui contenuti della riforma, ed è invece sceso nei bassifondi della lotta fra e all’interno dei partiti, con obiettivi diversi da quello di un referendum confermativo, a cominciare dalla voglia di approfittare dell’occasione per far cadere l’odiato governo Renzi. Che ha per un po’ addirittura aiutato i malintenzionati dando lui stesso al referendum una portata da plebiscito nei suoi riguardi: un rimprovero, questo, sia pure non espresso in termini così espliciti, che Calabresi ha mosso all’amico presidente del Consiglio con la copertura di un altro e ancora più autorevole amico come il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Il quale tuttavia ha recentemente riconosciuto a Renzi il merito di avervi in qualche modo posto rimedio correggendo il tipo di campagna referendaria, anche se a non tutti è apparso sufficiente, o abbastanza tempestivo.
D’altronde, quando Renzi ha cercato di cambiare musica o tono, i suoi avversari non hanno per questo abbassato il tiro, Essi hanno continuato a sparargli, sia pure metaforicamente, addosso o per farlo cadere o per fargli abbassare la cresta, come ha detto di accontentarsi il rottamato Massimo D’Alema, che capeggia praticamente la campagna del no sul piano politico, mentre Zagrebelsky la capeggia sul piano culturale, filosofico, accademico ed altri aggettivi ancora.
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Debbo dire con tutta onestà che Renzi non fa proprio di tutto per aiutare quelli che desiderano dargli una mano. Pur con le attenuanti che merita di fronte al carattere generalmente specioso e prevenuto della lotta che gli conducono in casa gli sconfitti inconsolabili del congresso di partito di ormai tre anni fa, il presidente del Consiglio non può fare come il gambero. Che un giorno, proprio nel confronto televisivo con Zagrebelsky, annuncia o adombra una iniziativa del governo o del suo partito per apportare modifiche alla legge elettorale della Camera, cui molti condizionano la disponibilità a passare dal no al sì referendario alla riforma costituzionale, e uno o due giorni dopo torna a dire che attende di conoscere le proposte degli altri per formularne una lui, non si sa se di mediazione o no.
Questo modo di fare e di dire, dettato forse dal desiderio di guadagnare tempo e di trattare con maggiore forza, o di non trattare per niente, dopo una eventuale vittoria del sì referendario, può danneggiarlo. E specialmente in quell’area fortemente indecisa e tentata dal sì ch’egli ha giustamente individuato nel centrodestra, fra le proteste dell’ormai solito Pier Luigi Bersani, convinto che Renzi vada dove lo porta il cuore, essendo evidentemente di destra e non di sinistra.
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Tornando alla Repubblica di carta, il direttore Calabresi ha esortato i lettori in agitazione, alcuni dei quali, peraltro assai titolati, hanno minacciato di non acquistare più il suo giornale, di avere la “pazienza” di aspettare i 59 giorni residui della campagna referendaria per giudicare, essendo lui deciso a far scendere il dibattito mediatico, per quanto lo riguarda, dal ring attuale ad un confronto civile di idee. Ed ha cominciato col pubblicare le voci del no di Salvatore Settis, in dialogo con Giorgio Napolitano, e di Nadia Urbinati, furibonda perché Scalfari ha preferito a tal punto quel “furbettino analfabeta” di Renzi da bocciare quel “finissimo intellettuale” di Zagrebelsky. Di cui la professoressa condivide al cento per cento la contrapposizione fra oligarchia e democrazia, checché Scalfari pensi dell’oligarchia di Pericle, e alla lezione che potrebbe trarne Renzi.
Avrei voluto occuparmi oggi anche dei grillini, e della loro discesa o salita dai tetti, cioè dell’ormai ex grillino sindaco di Parma e dell’ancora –non so per quanto- grillina sindaca di Roma, ma sarà per un’altra volta.