Skip to main content

I travagli del Fatto Quotidiano di Travaglio

Marco Travaglio e Antonio Padellaro

Marco Travaglio, giustamente soddisfatto, dal suo punto di vista, del sottosopra di Repubblica, dove il direttore Mario Calabresi cerca di contenere le proteste dei lettori per quel 2 a 0 assegnato a Matteo Renzi da Eugenio Scalfari dopo la partita televisiva a La 7 con Gustavo Zagrebelsky sul referendum costituzionale del 4 dicembre, si è inserito nella vicenda attaccando il fondatore del giornale.

“Scalfari – ha scritto Travaglio – è semplicemente uscito al naturale” dallo scontro col presidente emerito della Corte Costituzionale e guida culturale e morale della campagna referendaria del no. “Al naturale” significa infastidito dalla sovranità popolare e cultore della politica che si decide nei salotti, a cominciare dal suo. Cultore dell’”oligarchia” e non della “democrazia”, secondo la contrapposizione proposta da Zagrebelsky. Che pure per lo stile con cui parla, per i concetti che esprime, non proprio alla portata di tutti quelli ai quali può capitare di ascoltarlo davanti a un televisore, per la cultura che gli piace ostentare maledicendo il giorno in cui ha la sfortuna di misurarsi con uno meno colto o diversamente colto da lui, sembra ancora più da salotto del salottiere dato da Travaglio a Scalfari. Il quale ha il torto, in questo caso, solo di preferire una sana oligarchia tipo quella di Pericle, nei tempi d’oro di Atene, ad una democrazia sciatta e pasticciona: tipo quella, per venire ai giorni nostri, che viene praticata e di cui si vanta il movimento grillino. Che a Parma ha appena preferito perdere un sindaco stimato dai suoi cittadini, che lo hanno eletto davvero, votando nelle cabine elettorali e non navigando in internet, piuttosto che confrontarsi seriamente con lui. E a Roma sta facendo quello che fa, fra un andirivieni di assessori nel palazzo in cui la sindaca pentastellata deve isolarsi sui tetti con un suo collaboratore non solo e non tanto per godersi il panorama e mangiare un panino, quanto – temo – per parlare liberamente, senza essere sentita, controllata, spiata da gente della sua parte politica che non vede l’ora di farle fare la fine del suo collega di Parma, dimessosi dal partito.

Se questo dei grillini è un partito espressione della democrazia di nuovo e moderno conio, naturalmente schierato contro la riforma costituzionale come un sol uomo, soddisfatto dello spazio che gli lascia la vecchia Costituzione in vigore da 68 anni, anche io preferisco il salotto oligarchico di Scalfari, per quanto mi sia tante volte capitato di dissentire dal fondatore della Repubblica di carta.

++++

Eppure un po’ di sottosopra c’è anche in quel monolite apparente del Fatto Quotidiano, fra i cui lettori ce ne sono di scontenti della posizione, o almeno del modo in cui la sostiene Travaglio, contro la riforma costituzionale.

Il famoso pianista e direttore d’orchestra Nicola Piovani non si è lasciato trattenere dall’amicizia col direttore del Fatto Quotidiano, al quale ha praticamente chiesto, con tanto di lettera, di finirla con la storia degli artisti – ma non solo degli artisti, aggiungerei – restii a scegliere e ad annunciare il no referendario alla riforma di Renzi per vigliaccheria o/e opportunismo, cioè per non perdere un contratto o guadagnarsene uno, visto il potere del segretario del Pd e del presidente del Consiglio nei luoghi o ambienti dove gli artisti – ma anche qui non solo loro – si muovono: televisione pubblica e privata, teatri nazionali e locali. Dove Travaglio, rispondendo all’amico, sostiene di trovare ostacoli nel rappresentare gli spettacoli che va proponendo per supportare la sua campagna referendaria per il no.

Piovani, che forse conosce i teatri un po’ meglio di Travaglio, ha rivendicato quasi il merito di non essersi fatta ancora un’opinione su come votare il 4 dicembre, volendo capire meglio dal dibattito in corso contenuto e spirito della riforma. Ed anche il diritto, se dovesse decidere per il sì, di non essere considerato né un vigliacco né un opportunista, cioè come uno che avendo famiglia non vuole rischiare prospettive di guadagno e di carriera.

Il sì referendario, d’altronde, è così sospettato dalle parti del Fatto Quotidiano di essere qualcosa di impresentabile e immondo che il fondatore e attuale presidente della società editrice, il buon Antonio Padellaro, va scrivendo e dicendo ovunque lo invitino a parlare che gli sembra di essere tornato trenta o quarant’anni indietro, quando nessuno pubblicamente aveva il “coraggio” di dire di votare per la Democrazia Cristiana, che sistematicamente usciva invece dalle urne sempre con un bel bottino, anche quando le capitava di perdere qualcosa.

Ma la stessa cosa, caro Antonio, potrei dire io dei tempi in cui il Pci guadagnava voti e si stentava a trovare gente che si vantasse di averglieli dati. O dei tempi odierni, in cui i grillini hanno più voti di quelli che meriterebbero. Che è poi la cosa che tu, Antonio, sostanzialmente rimproveri per il passato alla Dc.

++++

Una rappresentazione dell’ambiguità o fluidità del popolo referendario è stata appena riproposta dal giornale di Padellaro e di Travaglio anche in riferimento alla posizione di Forza Italia, del cui elettorato diviso su come votare un sondaggio recentissimo ha anche valutato la consistenza: il 60 per cento disposto a seguire l’indicazione del no data da Silvio Berlusconi e il 40 per cento invece disposto a votare sì. E di questo 40 per cento farebbe parte il presidente di Mediaset in persona Fedele Confalonieri, raffigurato in un fotomontaggio abbracciato a Matteo Renzi, a corredo di un titolone sul “Patto del Biscione”, variante del famoso e formalmente interrotto “Patto del Nazareno”.

Sarà vero? Sarà falso? Chi lo sa? Certo è che Renzi ci conta, visto che parla apertamente della volontà o speranza di vincere il referendum “a destra”. E Berlusconi, trattenuto almeno ufficialmente dai controlli e dai consigli dei medici, sta evitando di impegnarsi più di tanto nella campagna del no, e tanto meno di accettare la sfida fattagli da Renzi di confrontarsi con lui in televisione. Mistero della fede, si dice a messa dopo la rievocazione dell’ultima cena.



×

Iscriviti alla newsletter